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ANSAcom - In collaborazione con CCIAA di Pordenone Udine
Gli Stati Uniti, la Nato e le relazioni economiche fra Fvg e Usa sono stati al centro della seconda mattinata di Open Dialogues 2025, l’evento ideato dalla Camera di Commercio Pordenone-Udine con The European House Ambrosetti e la direzione scientifica di Federico Rampini. Proprio Rampini, nel suo intervento (questa mattina nella Sala Valduga della Cciaa), ha offerto un’ampia panoramica inziale. “Trump nel 2016 si poteva definire un cigno nero, come si definiscono quegli eventi altamente improbabili che ci colgono impreparati: nemmeno lui credeva alla sua vittoria. Nel 2024 invece era fiducioso di vincere. Siamo passati al “rinoceronte grigio”: i rinoceronti sono tutti grigi, non è un’anomalia come il cigno nero, ma è talmente grosso e inquietante che preferiamo ignorarne l’esistenza, ma quando arriva ha comunque un impatto sconvolgente”. Rampini ha approfondito le diverse motivazioni che hanno portato alla vittoria di Trump e ripercorso la crescita del potere di Elon Musk.
Ha quindi spiegato che “a inizio millennio le economie americana ed europea si equivalevano: oggi quella degli Usa vale il 40% in più: significa crescita, occupazione, benessere, cose molto concrete”. Nel 2009, ha ricordato ancora Rampini, “davamo per scontato il sorpasso della Cina sull’America, ma adesso non se ne parla più. Se accadrà, probabilmente sarà molto in futuro”. Per Rampini, c’è “una specie di negazionismo europeo su alcuni dati”. E ha citato a esempio il fatto che nello Stato più povero degli Usa “il Mississippi, un operaio guadagna più di un operaio tedesco”. Dunque non è vero “che in Usa c’è il Far West in tema di lavoro e stanno bene solo i ricchi: la dinamica salariale – ha ribadito – è molto più vigorosa per le fasce basse, quindi le disuguaglianze si sono assottigliate. Ma come farebbero gli Usa ad attirare 2 milioni di immigrati l’anno, da Centro America ed Europa, se si stesse davvero così male come si pensa qui?”. Negli Usa, poi, Rampini ha ricordato che le sette super aziende di big tech capitalizzano in borsa più del valore totale delle borse di Giappone, Germania, Gran Bretagna e Canada. “Amazon – ha aggiunto – investe da sola nella ricerca più di tutto il sistema Italia, pubblico e privato”. E ha evidenziato: “10mila euro investiti nell’anno 2000 nelle borse americane oggi valgono 27mila, al netto dell’inflazione, quindi parliamo di potere d’acquisto reale. Gli stessi 10mila euro investiti in tutte le altre borse del mondo oggi valgono solo 16mila euro”.
Nell’ultimo quarto di secolo “sono accaduti tanti cigni neri, dall’11 settembre 2001 a oggi – ha aggiunto Rampini –. Eppure, nello stesso periodo, la performance economica americana ha staccato di più di tutte le altre e ciò non è attribuibile a un’unica ideologia o un’unica persona alla guida del Paese, in quanto abbiamo avuto un’alternanza di presidenti e posizioni alla Casa Bianca quanto mai variegata. Evidentemente – ha chiosato il direttore scientifico di Odff – per la crescita ci sono cause strutturali che non dipendono da chi è al Governo. In Usa il Governo ha un’influenza relativa sull’economia: conta più l’iniziativa privata e la libertà d’azione delle imprese”. Se gli Europei, secondo Rampini, fanno fatica a capire sulla vitalità dell’economia americana, ciò ha a che vedere con storia lunga della sua democrazia. È l’unico Paese al mondo che ha costruito lo Stato e la burocrazia dopo aver costruito la democrazia della società civile, al contrario di ciò che è accaduto in Europa, dove gli Stati e le burocrazie c’erano già e solo dopo è arrivata una democrazia che ha dovuto innestarsi nelle strutture esistenti”.
Ma non solo gli Europei. Rampini ha ricordato al pubblico udinese che anche gli americani fanno fatica a vedere tutti gli elementi di forza del loro Paese. Oltre ai citati, ha aggiunto la superiorità finanziaria del dollaro, la superiorità tecnologica pur con una Cina in grande crescita, quella energetica, nonché una demografia positiva in un mondo che invecchia. “Nonostante ciò, gli americani non sono per niente ottimisti e non lo sono da tempo, non solo in concomitanza con l’ultima elezione”. Gli americani, dunque, “pensano che il loro Paese sia in cattiva salute, a prescindere da quello che votano. Hanno poca fiducia nelle istituzioni – ha precisato – e sulla direzione di marcia del proprio Paese”.
Dopo Rampini, moderati da Filippo Malinverno di Ambrosetti, sono intervenuti lo scrittore e politologo statunitense Robert D. Kaplan e, in collegamento, Benedetta Berti della Nato, che ha evidenziato i cambiamenti che l’alleanza transatlantica ha vissuto negli ultimi 7 decenni e che sta vivendo soprattutto in quest’ultimo periodo. “Negli ultimi 10 anni – ha detto Berti – ci stiamo rendendo conto che siamo in un ambiente più pericoloso e imprevedibile. Le minacce sono globali e ce n’è più d’una su cui è necessario concentrarci. Dobbiamo dunque prepararci a una cooperazione più strategica”. Per Berti, “ci sono oggi cambiamenti sistemici per la Nato. Siccome l’America ha bisogno di concentrare risorse sull’asse indo-pacifico per la minaccia cinese, è necessario un riallineamento del peso nell’ambito dell’alleanza transatlantica”.
Se durante la guerra fredda si è speso circa il 3,5% del Pil in difesa, dopo la caduta del muro la spesa è dimezzata, “ma adesso è importante distribuire meglio il peso – ha rimarcato Berti –. Anche se è vero che c’è stato un aumento in quest’anno, ci troviamo in un mondo in cui l’Europa deve fare di più”. Come? Per Berti “spendendo di più, ma anche meglio e sulle cose giuste, perché tuttora l’industria bellica europea è frammentata e spesso sottoposta a una competizione interna, che porta a pagare di più per le stesse cose. Sono sfide che vanno affrontate e l’Ue sta facendo passi importanti in questo senso”, ha chiosato Berti.
La mattinata di venerdì 7 in Sala Valduga si è conclusa con un ultimo panel dedicato agli Usa, che si è concentrato sulle relazioni fra Usa e Fvg e sulle opportunità di internazionalizzazione e investimento delle imprese italiane, ma soprattutto della regione. Ad approfondire il tema sono stati Alessandro Terzulli, chief economist di Sace, Robert Allegrini, presidente del Niaf, Camilla Benedetti, vicepresidente di Danieli, e Lydia Alessio - Vernì direttrice Agenzia Lavoro & SviluppoImpresa della Regione.
Sace, ha spiegato Terzulli, prevede a livello nazionale per l’export un +3% nel 2025 e un +2,4% nel 2026, “numeri buoni considerando il contesto, dopo la stasi dell’ultimo biennio”, ha detto. “Ci sono però dei rischi a ribasso, derivanti dalle restrizioni al commercio che saranno imposte probabilmente nei confronti dell’Ue”, ha precisato. Occorre dunque diversificare ulteriormente l’export dell’Italia. Sace ha individuato in particolare 14 mercati “gate”, verso cui può fare da apripista per le imprese: Messico, Brasile e Colombia, Cina, India, Vietnam e Singapore, Serbia e Turchia, Egitto, Marocco e Sudafrica e due mercati mediorientali come gli Emirati Arabi e l’Arabia saudita.
Il presidente del Niaf Allegrini ha esordito con una nota positiva: “Senza o con Trump, il rapporto fra Fvg e Usa continuerà ad andare avanti”. Il Fvg, ha aggiunto, per gli statunitensi è “un luogo affidabile, dove le leggi sono rispettate” e ha ricordato che sono moltissimi gli italoamericani nel Governo degli Usa con cui Niaf collabora e che sicuramente garantiranno anche in futuro forti relazioni economiche. Allegrini ha omaggiato il presidente Da Pozzo con i gemelli ufficiali del Niaf (foto).
Camilla Benedetti ha evidenziato che Gruppo Danieli conta più dipendenti all’estero che in Italia, pur rimanendo l’azienda solida e competitiva sul territorio italiano e friulano in particolare. E se la nuova amministrazione Trump ha affermato di volersi sottrare ai principali trattati internazionali sull’ambiente, non c’è il timore di rallentare il percorso verso la decarbonizzazione. “Noi possiamo comunque restare competitivi nell’acciaio green – ha spiegato – con la massimizzazione dei processi, il riciclo e l’ottimizzazione materie prime”. Un aspetto importante è anche l’aumento della sicurezza sul lavoro. Il rinnovamento degli impianti non è dunque legato solo alla transizione ecologica, ma anche alla ricerca di nuovi vantaggi competitivi. I dazi? Secondo Benedetti “non rappresentano una minaccia per le imprese che sono veramente competitive. Puntando su qualità, servizio e innovazione – ha rimarcato –, si possono trovare opportunità anche in contesti sfidanti e incerti come quelli attuai. Fvg e Italia vantano un know how industriale unico. Ciò ci permetterà di rimanere protagonisti se continueremo a investire anche in innovazione e tecnologie”.
Lydia Alessio-Vernì ha evidenziato il rapporto strategico Fvg-Usa, il paese leader per gli investimenti diretti esteri, “per noi fondamentale sia per attrazione di investimenti sia per la collaborazione internazionale”. Il tema dell’attrazione di investimenti fino a 10 anni fa era difficile da affrontare. “Oggi sono le imprese stesse che ci portano i loro partner”, ha detto, perché capiscono che queste collaborazioni non tolgono ma anzi migliorano lo sviluppo locale. È dunque interesse del Fvg attrarre operatori, che se accolti in un contesto di collaborazione anche istituzionale “non porteranno investimenti occasionali, ma da partner stabili anche per il futuro”.
PROGRAMMA ODFF POMERIGGIO DI OGGI, VENERDì 7 MARZO
Nel pomeriggio, il gran finale, all’Auditorium Sgorlon dell’Università, in via Margreth. Comincia alle 14.45 il dibattito conclusivo su giovani e innovazione per la competitività delle imprese. Padrone di casa il rettore dell’ateneo udinese, Roberto Pinton, che dopo il suo intervento passerà il microfono ad Alec Ross, docente alla Bologna Business School, imprenditore ed esperto di politiche tecnologiche, Elena Alberti, ad di Penske Automotive Italy, Angelo Montanari, professore di Computer Science all’Università di Udine e Alessandro Piol presidente di Epistemic Ai. A chiudere l’edizione 2025 di Open Dialogues saranno infine il presidente Cciaa Pn-Ud Giovanni Da Pozzo e il direttore scientifico Federico Rampini.
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