(di Alessia Tagliacozzo)
La Cgil è pronta a tornare in piazza
ad ottobre se non ci saranno risposte sul recupero del potere
d'acquisto dei salari, sul rinnovo dei contratti pubblici, sul
fisco e sulla sanità. Il segretario generale Maurizio Landini ha
chiesto di defiscalizzare gli aumenti salariali dei contratti
nazionali e ha avvertito che il sindacato "non starà a
guardare", perché la gran parte delle indiscrezioni sulla
manovra di cui si è parlato non sono condivisibili, a partire
dai nuovi condoni e dall'intenzione di dare la possibilità di
restare al lavoro nel pubblico fino a 70 anni.
Anche il leader della Cisl, Luigi Sbarra, non esclude la
mobilitazione "se dovesse servire". Ma sottolinea il
sindacalista, è "prematuro parlare di sciopero contro la
manovra": "Questo esercizio di annunciare mobilitazioni e
scioperi quando ancora non c'è la cornice della legge di
stabilità ci sembra un esercizio un po' rituale, fine
a se stesso. Noi pensiamo invece che il governo vada sfidato nel
metodo e nei contenuti".
Uno dei temi principali sui quali si concentrerà l'azione
sindacale nelle prossime settimane sarà dunque quello dei salari
e delle tutele, con la richiesta della Cgil "a sostegno della
contrattazione" che punta all'introduzione di "salari orari
minimi sotto i quali non si deve andare". "Il Governo - ha detto
Landini - di fronte a una inflazione in un triennio del 17% ha
proposto per i contratti pubblici il 5,7%. Firmare quei
contratti vuole dire programmare una riduzione del potere
d'acquisto". Per la Cgil una strada potrebbe essere quella della
detassazione degli aumenti previsti dai contratti nazionali,
perché sono gli unici che riguardano tutti. Non basta invece
incentivare gli aumenti dei contratti integrativi, perché questi
riguardano solo meno del 20% dei lavoratori dipendenti privati,
circa 2,9 milioni su poco meno di 16 milioni complessivi, e sono
concentrati nelle grandi aziende del Nord.
"Il contratto di secondo livello, ha spiegato Landini,
riguarda una minoranza, "è antisolidale". In pratica ottengono
vantaggi quei dipendenti che già hanno la contrattazione
integrativa senza che questa contrattazione di fatto negli anni
si sia estesa come era nel progetto originale dell'accordo del
1993. "Noi pensiamo, ha detto, che il dato sui contratti di
secondo livello dimostri come aver defiscalizzato, incentivato
solo la contrattazione di secondo livello non abbia portato
all'estensione di questo strumento. E' come dare gli incentivi
alle assunzioni, è dimostrato che le aziende che vogliono fare
le assunzioni non hanno bisogno degli incentivi le farebbero
comunque. Abbiamo bisogno di fare crescere i salari e le tutele
di tutti i lavoratori, di qualsiasi settore e di qualsiasi
azienda".
Dal rapporto presentato dalla Cgil sulla contrattazione che
ha esaminato 1.924 contratti su circa 9421 attivi al ministero
del Lavoro che accedono alla detassazione e decontribuzione per
il premio di risultato, il 10,5% è territoriale, l'88,2% è
aziendale e appena l'1,3% è di "Altro tipo". Gli accordi
analizzati nel rapporto interessano in tutto 896 soggetti tra
imprese proprie, istituzioni pubbliche e altri enti di varia
natura e la dimensione delle aziende è piuttosto alta e conta in
media circa 1.460 addetti. L'importo medio del premio rilevato,
inteso come valore massimo raggiungibile negli accordi per
quanto riguarda il trattamento economico, è pari a 1.692 euro,
registrando un aumento rispetto alle due rilevazioni precedenti
(1.409 euro per il triennio 2019-2021), seppur con differenze
significative tra i settori.
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