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UMBERTO PASTI, ARABESCO (BOMPIANI, PP 221, EURO 18,00)
Un collezionista che vuole ridare vita a manufatti antichi e un fantasma, uno spiritello, il duende Diego, concreto e intraprendente che si sente il vero e primo padrone della casa di Tangeri dove trovano posto queste testimonianze. Umberto Pasti, grande giardiniere e scrittore, ci fa entrare in una dimensione tra sogno e realtà nel suo nuovo romanzo 'Arabesco', in libreria per Bompiani, dove tra colpi di scena, chimere del passato, ricordi e fantasie si sviluppa tra i due protagonisti, una sorta di Don Chisciotte e Sancho Panza, un rapporto comico e poetico. Una relazione che restituisce alla fine l'anima di Tangeri, città in cui vive l'autore per la maggior parte del tempo. "Credo che l'identità di un popolo si esprima da quello che ha fatto, dai suoi manufatti. Per me collezionare significa salvare le testimonianze di un passato che, nel caso del Marocco, è cancellato dalla modernizzazione molto selvaggia, brutale, invece a me interessa salvare questi oggetti che sono testimonianze di un modo di vivere che è poi l'identità dei marocchini del nord" dice all'ANSA Pasti, in questi giorni a Roma per l'uscita del libro. "Non sono un collezionista di quelli che vogliono avere tutti i francobolli, tutte le cose. Io voglio cercare di traghettare nel futuro com'era la gente di questo posto dove sono andato ad abitare" spiega lo scrittore.
Ma qual è il segreto di Tangeri? "A Tangeri si è sviluppato, per ragioni storiche, un carattere degli abitanti che è molto speciale. Sono stati fenici, cartaginesi, romani, bizantini, vandali, portoghesi. Sono molto sospettosi, accoglienti, capricciosi, spiritosi. Credo che il segreto di Tangeri siano i tangerini" dice Pasti.
Com'è arrivato questo fantasma e come è entrato nella storia che racconta? "Cercavo di dare vita a queste mie collezioni che trovavo fossero inerti finché non mi è comparso questo duende accanto che poi ho scoperto essere il primo abitante della casa.
Non voleva che parlassi delle mie collezioni, voleva che parlassi di lui, della sua casa, della Tangeri degli spagnoli.
Ho dovuto lottare contro Diego e questo ha dato molta vitalità alle mie collezioni perché me le sono riconquistate". Quando è apparso si è spaventato? "Si, le prime volte mi spaventava. Poi mi sono ritrovato, ma ho sempre saputo che non era vero come me. Però l'immaginazione era molto accesa. Avevo difficoltà a capire che era fantasia".
Diego e il protagonista della storia, in cui non è difficile riconoscere alcune caratteristiche dello scrittore, sono due persone molto diverse. "Io sono un sognatore, un collezionista e sono vivo. Lui, che è morto, è un uomo pratico. È una persona che vuole sempre fare l'amore, molto concreto. Paradossalmente io che dovrei essere quello vivo sono più morticello di questo duende". Diego Mullor Heredia, nato a San Roque, vicino a Cadice, alla fine del secolo decimonono, con due baffetti che erano "il disegno di una rondine a testa in giù" e la voce metallica, era stato un artista e ancora, appena poteva, faceva dei disegni in bianco e nero, niente colori che subito gli lacrimavano gli occhi. Questo spiritello che ama le belle donne, ha i piedi per terra, conta i soldi, paradossalmente è quello che riporta in ogni occasione il collezionista alla realtà concreta. "Solo un collezionista può essere così tonto da pensare che le cose stanno ferme! C'è uno spirito che le fa muovere! Siempre!" dice Diego che usa espressioni nella sua lingua, lo spagnolo.
In un incrocio tra autobiografia e romanzo gotico con incursioni nella satira e nella saggistica erudita, Pasti fa risplendere in tutta la sua complessità Tangeri e il suo tempo sospeso. Finito il libro è rimasto il duende? "No, se ne è andato. Ogni tanto mi ricompare. Lo vedo con la coda dell'occhio. Sento che mi sta accanto, però non mi parla più, non mi frequenta più. Non mi rompe più le scatole". Ci sarà un seguito con lui? Penso di no, ma non posso dirlo perché come duende Diego è imprevedibile. Potrebbe arrivare adesso e sedersi qua".
Il sogno di Pasti, che fa "il giardiniere" e vive "tra i cantieri in giro per il mondo, molto in Marocco e poco tempo a Milano", sarebbe "che la casa di Tangeri diventasse un piccolo museo privato" dice.
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