(di Paolo Petroni)
Mentre fa notizia e stupisce per la
bellezza la scoperta della sala per banchetti della Villa del
Tiaso a Pompei, che ne fa quasi una seconda Villa dei Misteri
grazie ai suoi affreschi lungo tre pareti (la quarta era aperta
sul giardino) legati al culto dei misteri dionisiaci che tanto
spazio ebbero nella cultura romana, arriva in libreria il saggio
di Walter F. Otto proprio su 'Dioniso' (Adelphi, pp. 286 - 16,00
euro - Traduzione di Giampiero Moretti). Il volume fa seguito al
celebre 'Gli dei della Grecia' dello stesso studioso, storico
delle religioni e filologo scomparso nel 1958, da cui Dioniso
era stato tenuto fuori per la sua particolarità di dio
dell'ebbrezza, della gioia di vivere e, attraverso le maschere,
assieme dio della violenza, degli impulsi omicidi, laceranti e
tragici.
"In lui sono comprese tutte le potenze terrene che fanno
disperare e ridere", sintetizza Andrea Carandini, commentando
il ritrovamento di questi nuovi affreschi pompeiani e
sottolineando come "a Pompei si vivesse nella cruda realtà e
nella fantasia di decorazioni, scene e miti, potendo così
sognare anche da svegli" e vivere l'eterna ambiguità e
complessità esistenziale. Ricordiamo quindi che Otto era
studioso e, se vogliamo, cantore della grande vitalità greca
classica dagli stimoli culturali inesauribili, legata a
un'esperienza del divino unica nella storia della civiltà. Non a
caso la tragedia greca, con tutto ciò che simbolicamente e
poeticamente comporta per noi da sempre, come ha intuito
Friedrich Nietzsche appunto nel suo 'La nascita della tragedia',
nasce dalle forze contrapposte che governano lo spirito degli
uomini, l'apollineo, che è la bellezza, l'armonia della
razionalità, e il dionisiaco, forza dell'irrazionale della
musica e del perdersi. E ricordiamo come questo conflitto sia
stato analizzato da un altro studioso, Giorgio Colli, in una
saggio intitolato proprio 'Apollineo e dionisiaco'.
L'iniziazione dionisiaca per Otto dà la forza metafisica -
come fa notare Giampiero Moretti nella postfazione al libro -
per compiere il duplice percorso che procede dal divino per
'afferrare' l'umano, e dall'umano (se predisposto a farsi
'afferrare') al divino. Comprendere Dioniso, viverne la
complessità e doppiezza, era cosa da iniziati, perché "il
fragore con cui avanza Dioniso stesso e il suo seguito divino,
il fragore provocato dalla folla umana invasata dal suo spirito
- scrive Otto - è un autentico simbolo dell'irrompere del
soprannaturale. Col terrore che, allo stesso tempo, è anche
estasi, con un'eccitazione che somiglia alla paralisi, con la
sopraffazione di ogni normale e consueta impressione sensibile,
improvvisamente l'inudito fa il suo ingresso nell'esistenza. E
nell'attimo del suo culmine è come se il folle frastuono fosse
in realtà il più profondo silenzio".
Il culto nasce dapprima come orfico e poi diviene furia, rito
orgiastico durante le feste in cui si celebrava il dio
attraverso dei balli agitati sino a perdere il senso di sé,
raggiungere lo stato di ebbrezza i cui ritrovare il proprio io
primordiale, naturale, tanto che a Roma lo si finiva per
identificare spesso col dio Bacco. Diverse le storie legate alla
sua origine, ma quelle prevalenti lo vogliono figlio di Zeus, in
un caso fatto ingravidando sotto forma di serpente Persefone, in
un altro rapendo invece Semele, figlia di Armonia e Cadmo. In
tutti i casi, la sua fine è quella di essere sbranato dai Titani
istigati dalla gelosia di Giunone, moglie di Giove.
I riti dionisiaci, e ce lo confermano gli affreschi appena
ritrovati a Pompei, il cui ciclo ha come momento culminante la
figura di una bella donna che guarda verso la sala e, in
compagnia di un sileno, sta per essere iniziata ai misteri
mentre in costume ballano fauni e menadi con al polso
braccialetti preziosi della padrona di casa, questa e le altre
donne li seguono sino a essere anch'esse ebbre: soltanto così -
per Carandini - le matrone potevano ritualmente, non
socialmente, emanciparsi dal più duro patriarcato romano.
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