"L'argomento della
decadenza da sindaco per Mimmo Lucano è erroneo". Lo dice
l'avvocato Andrea Daqua, difensore del primo cittadino di Riace,
in merito alla procedura avviata nelle scorse settimane dalla
Prefettura di Reggio Calabria nei confronti di Lucano, dopo la
condanna in via definitiva, a 18 mesi con pena sospesa,
rimediata in Cassazione al termine del processo "Xenia". Il 13
marzo, infatti, la Prefettura ha chiesto al Consiglio comunale
di prendere atto della sussistenza della causa di
incandidabilità, e quindi di decadenza, di Lucano. Presa d'atto
che il Consiglio comunale ha rinviato in attesa di ricevere
dalla prefettura la documentazione trasmessa dal ministero
dell'Interno che attesterebbe l'applicazione della legge
Severino.
Per il legale "alla luce del dato testuale della norma
l'iniziativa si appalesa già abnorme". Rifacendosi "all'articolo
10 lettera 'd' del decreto legislativo 235 del 2012", Daqua
spiega che "decade da sindaco colui che è stato condannato con
sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente
superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso
dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alle funzioni o
a un pubblico servizio". "La norma, dunque, - aggiunge -
individua due requisiti alla presenza 'congiunta' dei quali
scatta la decadenza: uno è collegato alla entità della condanna,
cioè superiore a 6 mesi, e l'altro è collegato alla condotta
cioè deve trattarsi di reato commesso con 'abuso di potere o in
violazione dei doveri'. Così come si evince da un parere del
Ministero dell'interno del marzo 2020, l'accertamento della
condotta rilevante per l'applicazione della condanna spetta solo
ed esclusivamente al giudice penale, non potendo né
l'amministrazione, quindi Prefettura, Ministero o Consiglio
comunale, né il giudice dell'eventuale procedimento sul giudizio
elettorale entrare nel merito di detta valutazione".
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