(di Federica Acqua)
È piaciuta al pubblico che l'ha
salutata con lunghi applausi la Turandot di Puccini che ieri
sera, 19 luglio, in un'Arena Sferisterio di Macerata sold out,
ha inaugurato con una nuova produzione realizzata con l'Opéra
Grand Avignon il 60/o Macerata Opera Festival. Un'edizione che,
nel centenario della morte del compositore, ha voluto celebrarne
la memoria, presentando l'opera incompiuta come l'aveva diretta
Toscanini nella prima postuma della Scala del 1926, cioè fino
alla morte di Liù, interpretata sul palco da Ruth Iniesta,
diventata anche a causa di ciò la protagonista principale del
capolavoro pucciniano dal momento che l'aggiunta del finale di
Franco Alfano riguardava soprattutto Turandot.
Al soprano spagnolo sono andati i maggiori applausi del
pubblico per un'interpretazione ottimale sia in ruolo che in
voce e con lei al direttore Francesco Ivan Ciampa, sul podio
dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana-Form, che ha guidato con
sicurezza e precisione. Battimani anche agli altri protagonisti
da Olga Maslova, una Turandot imperiosa e feroce, ma sempre in
parte, ad Angelo Villari un Calaf credibile nonostante qualche
incertezza vocale, fino a Lodovico Filippo Ravizza (Ping), Paolo
Antognetti (Pang), Francesco Pittari (Pong), Riccardo Fassi
(Timur) e Christian Collia (Altoum). Apprezzatissimo il Coro
Lirico Marchigiano Bellini preparato da Martino Faggiani, come
pure quello dei Pueri Cantores 'D. Zamberletti', guidato da Gian
Luca Paolucci.
Il regista spagnolo Paco Azorìn, in linea con la nuova
direzione artistica inclusiva e popolare del festival di Paolo
Gavazzeni, ha dato all'opera una veste didascalica chiarita fin
dall'inizio da proiezioni sul muro dell'Arena del titolo
Turandot e dall'immagine di Puccini con tanto di data di nascita
e morte. Poi ha costruito sullo sterminato palco (quasi 100
metri) una struttura metallica rossa ispirata alle architetture
cinesi, divisa tra un sopra, dove opera la classe dominante, e
un sotto, dove nella risaia lavorano i contadini sfruttati. Al
centro una pedana circolare rialzata, focus dei momenti salienti
della vicenda, che comincia con dei bambini chini sulle malsane
coltivazioni che tossiscono e vengono portati via ad indicare
l'interpretazione politica dell'opera.
Qui al tempo delle favole regna Turandot, principessa di
ghiaccio, che odia gli uomini e stermina i suoi regali
pretendenti, ammaliati dalla sua bellezza sottoponendoli ad
enigmi cui non sanno rispondere, tranne uno: l'ardente principe
Calaf che vincerà la sfida e la ritrosia della bella
provocandone il 'disgelamento'. Elegantissima nei costumi a
kimono senza tempo del famoso stilista Ulises Mérida, Turandot è
l'archetipo della cattiva, che interpreta con un certo sadismo
mandando a morte il principe di Persia col supplizio delle
frecce come San Sebastiano, circondata da dieci arciere e da un
boia donna.
Una presentazione molto schematica, come nelle fiabe in cui i
ruoli dei protagonisti, ben 120 le persone che agiscono e
riempiono il palco tra coro, figuranti e mini, vengono
individuati in base alle tinte dei costumi: quelle dell'acqua
per i contadini, del rosso, del bruno e dell'oro per i dignitari
e dell'azzurro per gli esuli Timur e Liù, fino a Ping, Pang,
Pong, cui Azorin dà il ruolo di esattori delle tasse, che a
seconda che parteggino per il popolo o per l'impero si spogliano
o si vestono delle insegne regali.
Una storia illustrata da proiezioni video e luci di Pedro
Chamizo con un finale incompiuto ma che ha voluto comunque
riproporre con tutti i partecipanti schierati sul palco a luci
accese il gloria di Alfano. Repliche 28 luglio, 3 e 10 agosto.
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