Specchi con foto di donne
coronate da fiori e farfalle, gioielli che intrecciano fili
dorati a pietre, scarpe stampate in 3D e intessute in materiale
riciclato, tavoli smaltati, sedie fluo e una grande statua a
metà tra un uomo e un robot. La mostra dell'artista Elena
Manferdini - allestita all'Istituto Italiano di Cultura di Los
Angeles fino al 19 aprile - propone oggetti molto diversi tra
loro, ma legati da uno studio intelligente e colorato sulla
nostra identità nel mondo digitalizzato e sul rapporto con
l'ambiente. Voluta dal direttore dell'Istituto Emanuele
Amendola, rimasto incantato da una personale dell'artista al
prestigioso Pacific Design Center, l'esposizione si intitola
Flora: "ogni pezzo in mostra è ispirato al tema della natura,
perché presenta elementi floreali o per la ricerca del
materiale. Tutti hanno una connessione estetica e spirituale con
l'ambiente", dice all'ANSA Manferdini, nata a Bologna 49 anni fa
e negli ultimi 25 residente a Los Angeles. Quando frequentava
l'ultimo anno di ingegneria civile all'Alma Mater, è partita per
uno scambio con l'Università della California di Los Angeles
(Ucla). "Dovevo restare qualche mese. Invece non sono più
tornata indietro. Sono andata solo a discutere la tesi, ho
archiviato per sempre l'ingegneria e mi sono iscritta ad
architettura alla Ucla. Ho lavorato in alcuni studi, finché ho
cominciato a insegnare architettura al Southern California
Institute of Architecture. In quegli anni, ho anche aperto
Atelier Manferdini, il mio studio con base a Venice, con cui
firmo interventi di arte pubblica, design di arredamento,
accessori e gioielli o progetti di arte visiva". Ha esposto in
vari musei tra cui alla Biennale di Architettura di Venezia, al
MOCA e al LACMA di Los Angeles e al Museum of Art di Birmingham.
"È andato tutto liscio. L'America sa essere molto generosa",
considera guardandosi indietro. "Nell'era attuale,
contrassegnata da artefatti digitali effimeri e immagini
computazionali, la natura appare familiare ma anche stranamente
sintetica. Mi interessa mettere in mostra la dicotomia tra
rappresentazione naturale e artificiale", dice ancora l'artista,
che ha usato un software per produrre alcune sue opere: "i
ritratti femminili applicati sui cinque specchi tondi in mostra
sono visualizzazioni che ho ottenuto immettendo un testo in un
programma. In più, usando il cellulare e un QRcode l'immagine
diventa tridimensionale e si muove nello spazio", spiega. "La IA
è uno strumento affascinante. La macchina può imparare a
produrre. Ma tocca all'uomo interrogarla, stimolarla e poi
selezionare. Questo ruolo è insostituibile".
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