La maggior parte delle donne che
hanno avuto un tumore al seno, dallo stadio 0 fino allo stadio
III, e che tentano di concepire un figlio dopo aver completato
il trattamento, possono rimanere incinte e avere un parto sicuro
per il nascituro. È il risultato di uno studio finanziato
dall'organizzazione Susan G. Komen e dalla statunitense Breast
Cancer Research Foundation, presentato al Congresso della
Società americana di oncologia clinica (Asco).
"I dati in evoluzione continuano a dimostrare non solo la
possibilità ma anche la sicurezza della gravidanza, con bambini
nati vivi, dopo il trattamento del cancro al seno. Questo studio
ha indicato un numero significativo di donne che hanno avuto
cancro al seno e che hanno tentato una gravidanza e hanno
ottenuto un parto sicuro", rileva Elizabeth Comen, oncologa al
Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. Inoltre, "la
popolazione riportata in questo studio ha un follow-up mediano
di oltre 10 anni e include donne con una storia di qualsiasi
sottotipo di cancro al seno", sottolinea Kimia Sorouri,
ricercatore presso il Dana-Farber Cancer Institute, Boston. Lo
studio ha incluso 1.213 partecipanti a cui era stato
diagnosticato un tumore al seno di stadio da 0 a III all'età di
40 anni o prima dal 2006 al 2016. Non sono state incluse donne
con malattia metastatica. Delle partecipanti idonee, 197 hanno
riferito di aver tentato una gravidanza nel corso di un
follow-up di 11 anni. Delle pazienti che hanno tentato una
gravidanza dopo il trattamento, almeno il 73% è rimasta incinta
una volta e il 65% delle pazienti ha riferito di aver avuto
almeno una gravidanza in cui il bambino è nato vivo. Il tempo
medio dalla diagnosi alla prima gravidanza è stato 4 anni. Le
donne più anziane al momento della diagnosi avevano meno
probabilità di rimanere incinte, mentre le pazienti che erano in
una situazione finanziaria migliore e quelle che si erano
sottoposte a preservazione della fertilità avevano maggiori
probabilità. Tra le partecipanti che avevano tentato una
gravidanza, l'età media alla diagnosi era di 32 anni; il 68%
aveva ricevuto chemioterapia e il 57% aveva ricevuto una terapia
ormonale; il 13% aveva una mutazione genetica Brca1 e/o Brca2;
il 28% era stato sottoposto a preservazione della fertilità al
momento della diagnosi, in particolare al congelamento di ovuli
o embrioni.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA