La guerra protezionistica con Pechino non spaventa l'Europa. I Ventisette appaiono sempre più inclini a optare per la scure dei dazi sui veicoli elettrici made in China e il primo voto non lascia spazio a dubbi: se Bruxelles dovesse scegliere adesso, le misure commerciali sarebbero cosa quasi fatta. I governi decisi a dare un segnale forte al Dragone e ai suoi maxi-sussidi "sleali" sono in tutto 12, trainati anche dall'Italia. E folto è il club degli astenuti animato da 11 Paesi. Mentre i contrari sono soltanto 4.
A indicare un sostegno al piano annunciato due settimane fa dalla Commissione europea targata Ursula von der Leyen che lascerebbe la più riluttante Berlino - astenuta - isolata rispetto alle altre big. Il verdetto arriverà comunque soltanto a novembre, al termine di negoziati che si preannunciano complessi e alla vigilia - nei primi tentativi di agenda - del voto che potrebbe decretare il ritorno di Donald Trump sull'altra sponda dell'Atlantico, l'uomo che con i dazi ha picconato avversari e organizzazioni multilaterali.
Con la Cina convitato di pietra e la riforma del Wto in cima all'agenda del G7 Commercio, il voto dei governi Ue è arrivato due settimane dopo l'annuncio di Bruxelles di voler rendere permanenti i dazi provvisori fino al 37,6% sulle importazioni di e-car cinesi appena introdotti. Una misura - frutto dell'indagine sui maxi-sussidi elargiti da Pechino aperta nell'ottobre del 2023 - che ha esacerbato le tensioni sull'asse Bruxelles-Pechino e diviso l'Ue. I quattro Paesi più popolosi d'Europa dopo la Germania - Italia, Francia, Spagna e Polonia - si sono detti a favore. Un quartetto che rappresenta già oltre il 47% della popolazione comunitaria, a cui si aggiungono altri sei Paesi che hanno espressamente indicato il loro consenso e due Paesi (Grecia e Repubblica ceca) che non hanno preso parte al voto ma sono stati conteggiati tra i sì. Oltre a Berlino, il drappello di astenuti è formato da Romania, Austria, Croazia, Estonia, Finlandia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Svezia.
Mentre il fronte dei contrari conta soltanto Ungheria, Slovacchia, Malta e Cipro.
Uno scenario davanti al quale per il governo di Olaf Scholz - con la maggioranza tripartita in disaccordo sui dazi - costruire una linea di difesa per bloccare il piano di Bruxelles raggiungendo una maggioranza qualificata di 15 Paesi che rappresentino il 65% della popolazione appare molto difficile.
Il primo orientamento - non vincolante per la decisione dell'esecutivo Ue - sarà seguito a ottobre da un nuovo voto a ottobre, questa volta formale per consolidare i dazi per un massimo di cinque anni. Bruxelles per ora si limita a "prendere nota" del voto e a continuare nel suo esame. Poi, a novembre, la decisione. Tutto potrebbe essere di nuovo nella mani di von der Leyen che, oltre a tenere conto delle già certe ripercussioni che Pechino ha lasciato intravedere prendendo di mira le esportazioni di cognac francese e di carne di maiale, potrebbe doversi misurare anche con il bis di Trump.
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