Utilizzare le proprietà delle
lucciole per individuare contaminanti nelle acque: è questo il
risultato della ricerca, sviluppata nel Dipartimento di Chimica
"Giacomo Ciamician" dell'Università di Bologna, partner
scientifico del Consorzio Canale Emiliano Romagnolo. Lo rende
noto L'Anbi, l'associazione dei consorzi di bacino, in un
comunicato.
Le lucciole emettono luce per reazione chimica. Con il
sistema inventato dall'ateno bolognese, si preleva il loro gene
e lo si trasferisce in una cellula batterica oppure di lievito o
di mammifero. Queste cellule possono essere riprogrammate,
tramite biologia sintetica, illuminandosi con colori diversi in
presenza di altrettanti inquinanti (Pfas, metalli pesanti,
pesticidi, tossine, interferenti endocrini e altro).
Le cellule oggetto della ricerca in corso sono Ogm (Organismi
Geneticamente Modificati). Nel nostro Paese sono utilizzabili
solo in laboratorio. Possono essere, però, sostituite
nell'ambiente da batteri marini naturalmente bioluminescenti per
l'analisi della tossicità, oppure possono essere riprodotte
attraverso sistemi di trascrizione e traduzione in vitro per
analisi sul campo, utilizzando supporti in carta a basso costo e
sostenibili, interfacciabili con gli smartphone.
"E' evidente l'importanza di tale ricerca per la salute
pubblica - commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell'Anbi -
soprattutto ora che all'ordine del giorno c'è l'utilizzo delle
acque reflue in agricoltura. In Italia, un freno all'uso di tale
risorsa è infatti l'incapacità della gran parte dei depuratori
di intercettare le microplastiche, inquinanti in forte aumento e
lesivi della salubrità alimentare: un sistema di alert,
unitamente all'indispensabile certificazione di un ente terzo,
aumenterebbe significativamente le garanzie per i consumatori".
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