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Responsabilità editoriale di ASviS
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"La Chiesa invita a riflettere su quanto l’ostinazione irragionevole nelle cure (accanimento terapeutico) non rappresenti una medicina davvero a misura della persona malata” ha dichiarato monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, che ad agosto aveva consegnato a Papa Francesco un vademecum sul tema del fine vita. "Personalmente”, ha precisato, “non praticherei l'assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui ci troviamo". Le sue parole, pur distanti dall'apertura all'eutanasia e al suicidio assistito, sono stati interpretati sui media come una possibilità di una legge sul fine vita in Italia.
Il dibattito sull'eutanasia, il suicidio assistito e i diritti di fine vita è in costante evoluzione, con tendenze che variano significativamente a seconda del contesto giuridico e socio-culturale. Mentre alcuni Paesi hanno già legalizzato forme di assistenza alla morte, in Italia il tema rimane al centro di discussioni etiche e legislative complesse.
Uno studio dell’Università di Bologna di Asher D. Colombo e Giampiero Dalla-Zuanna, intitolato “Data and trends in assisted suicide and euthanasia, and some related demographic issues”, analizza i cambiamenti nell'opinione pubblica e la diffusione dell'eutanasia e del suicidio assistito (Eas) nei Paesi sviluppati. Lo studio esamina le motivazioni alla base delle scelte di coloro che ricorrono a queste pratiche e offre un’analisi differenziata in base a sesso età e causa del decesso.
“Gli individui più favorevoli all'Eas sono più ricchi, più istruiti, più secolarizzati e vivono in contesti in cui l'assistenza sanitaria e la democrazia liberale funzionano bene”, si legge nella ricerca, “al contrario, i meno favorevoli a questi interventi sono i più fragili dal punto di vista economico, culturale ed esistenziale, vivono in gran parte in contesti autoritari e dove l'assistenza sanitaria non è né efficiente né affidabile”. La religione poi, sottolinea lo studio, gioca un ruolo significativo: i Paesi a maggioranza musulmana sono generalmente meno favorevoli, mentre quelli a maggioranza protestante mostrano maggiore apertura. I Paesi cattolici si collocano invece in una posizione intermedia.
Le motivazioni che spingono a richiedere l'Eas variano dalla sofferenza fisica o psicologica insostenibile alla perdita di dignità e autonomia, o alla sensazione di essere un peso per gli altri. In ogni caso, spiega l’analisi, l'opinione pubblica tende a vedere l'Eas più come “unmezzo per porre fine a un dolore insopportabile” piuttosto che come “l’esercizio di un diritto incondizionato a commettere un suicidio con l’assistenza di un medico”.
Le differenze tra i Paesi riguardo all'Eas, si legge nello studio, dipendono dalle normative che regolano l'accesso a tali pratiche, influenzate da principi come la "fase terminale della malattia", la "sofferenza continua e insopportabile" e il "diritto individuale di morire". Al 2023, 13 Paesi hanno legalizzato alcune forme di Eas, otto dei quali in Europa, tre nelle Americhe e due in Oceania, con dati che variano notevolmente tra i Paesi. Ad esempio, nei Paesi Bassi, le pratiche di Eas rappresentano oltre il 3% dei decessi, mentre negli Stati Uniti la percentuale è inferiore allo 0,4%. Nonostante le differenze, i dati mostrano una crescita continua dell'Eas nel tempo, con alcune eccezioni come il Belgio, dove l'incremento è stato più moderato.
La distribuzione dell'Eas tra uomini e donne, rileva la ricerca, è generalmente simile, con alcune variazioni come in Svizzera, dove le donne mostrano una leggera maggiore propensione verso queste pratiche.
Per quanto riguarda le cause di decesso, oltre il 50% delle richieste di Eas proviene da pazienti oncologici. La sclerosi laterale amiotrofica (Sla) ha una percentuale particolarmente alta in Oregon, dove l'11% dei decessi per Sla avviene tramite Eas. L'uso dell'eutanasia è invece molto limitato tra i pazienti con demenza, principalmente a causa della riluttanza dei pazienti e dei medici a praticarlo in questi casi.
Infine, l'età gioca un ruolo cruciale: l'incidenza dell'Eas aumenta con l'età, seguendo un trend simile alla mortalità generale. Sebbene l'impatto demografico dell'Eas sia attualmente limitato, i ricercatori ritengono che l'invecchiamento della popolazione e l'aumento delle disabilità cognitive potrebbero portare a un incremento delle richieste in futuro.
di Sofia Petrarca
Fonte copertina: patcharaporn1984, da 123rf.com
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