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La Specola Vaticana boccia l'AI, 'non ha coscienza'

La Specola Vaticana boccia l'AI, 'non ha coscienza'

Gli scienziati gesuiti, 'non assimilabile all'uomo analogico'

CITTÀ DEL VATICANO, 07 settembre 2024, 02:00

Redazione ANSA

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(di Nina Fabrizio) Scienza e fede divergono spesso, o almeno, come avverte il cosmologo della Specola vaticana, p. Gabriele Gionti, percorrono dal punto di vista metodologico, due piani paralleli che non si incontrano mai. Stavolta, però, a metterle d'accordo c'è il giudizio sull'Intelligenza artificiale, praticamente una stroncatura: con la loro natura di software, di macchine algoritmiche, ChatGPT e gli altri dispostivi cosiddetti di IA, si basano su uno svolgimento di regole passo dopo passo che, per quanto avvenga alla velocità del computer, non produce mai "nè una coscienza, nè una comprensione del contesto nè tanto meno una creatività".
    Niente a che vedere, insomma, con l'uomo e la donna "analogici".
    Che gli strumenti dell'IA non abbiano una coscienza, non è un semplice modo di dire. Fabio Scardigli, fisico del Politecnico di Milano esperto di quantistica, tra gli autori del saggio "Eternity between space and time. From consciousness to the cosmos", presentato questa mattina alla Curia generalizia dei Gesuiti, la spiega da scienziato e premette che già il microprocessore la cui paternità è del fisico italiano Federico Faggin, "non ha una coscienza". "E' lecito dunque chiedersi - osserva - se l'Inteligenza artificiale abbia una coscienza, se quando parlo con ChatGPT, insomma, dall'altra parte c'è una mente che capisce quello che fa". Scardigli, che nella stesura del saggio ha collaborato con Ines Teston dell'Università di Padova, Don Andrea Toniolo, della Facoltà teologica del Triveneto, e con lo stesso Gionti, cosmologo della Specola vaticana, l'Osservatorio astronomico della Santa Sede e centro di ricerca affidato ai Gesuiti (di fatto il think tank della Chiesa in materia di astronomia, cosmologia, fisica quantistica e molto altro), propone i punti di vista del premio Nobel, Roger Penrose, e dello stesso Faggin i cui contributi, complessivamente di 24 autori, sono nel saggio edito da De Gruyter. Si tratta dunque di "software, macchine algoritmiche, programmi molto complicati e sofisticati - afferma il fisico -, talmente sofisticati da dare l'illusione di avere dietro una coscienza ma in realtà, secondo Penrose, si basano su uno svolgimento di regole, passo dopo passo, senza però una comprensione del contesto, neppure tantomeno una creatività".
    Penrose fa l'esempio del gioco degli scacchi, un gioco finito, cioè con un numero di mosse molto grande, ma comunque limitato.
    Ci sono macchine che giocano meglio del campione di scacchi ma quando queste stesse macchine vengono messe a confronto con dei problemi che per uno scacchista medio sono quasi banali, la macchina, se non gli è stato fatto vedere prima quello specifico esempio, si ferma. Fallisce.
    Una posizione condivisa da p. Gionti che sottolinea: "soprattutto la mancanza di creatività dell'IA, comporta forti implicazioni etiche". La questione non si limita poi all'oggi.
    "Questi autori - aggiunge Scardigli - ci dicono anche che non solo gli oggetti che abbiamo per le mani oggi come Chat GPT non hanno coscienza, ma addirittura anche quelli che potremmo avere nel futuro, se continuiamo a pensare come pensa il mainstream delll'intelligenza artificiale, arriveranno mai, per questa via, alla macchina cosciente". Con la sua assenza di "creatività", osserva anche il teologo Toniolo, l'IA non è assimilabile all'uomo che è contraddistinto da un linguaggio "simbolico" e quindi analogico. Che la scienza proceda con le sue regole e i suoi calcoli, non c'è dubbio, ma si torna all'avvertenza del gesuita Gionti: "L'uomo si fa domande sul senso ultimo, la scienza invece no. Per questo i due piani metodologici non si intersecano". Un'avvertenza da leggere in un duplice senso: se la scienza diffida della teologia, e non dovrebbe, anche la teologia non dovrebbe mettere nel mirino la scienza. Per non tornare ai tempi nè di Galileo, nè di Georges Lemaître, il prete cattolico teorico del Big Bang che oltre a Dio, voleva conoscere anche le leggi dell'universo.
   

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