Il leader siriano Ahmad Sharaa (Jolani) ha esortato questa sera gli insorti della minoranza alawita del deposto presidente Bashar al-Assad a deporre le armi "prima che sia troppo tardi" dopo che secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 162 civili del gruppo sciita sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Sharaa ha anche promesso di "continuare a lavorare per il monopolio delle armi nelle mani dello Stato e non ci saranno più armi non regolamentate". "Avete attaccato tutti i siriani e commesso un errore imperdonabile. Deponete le armi e arrendetevi prima che sia troppo tardi", ha detto.
Il punto alle ore 23 del 7 marzo (di Lorenzo Trombetta)
Esecuzioni di massa, lanci di barili-bomba dagli elicotteri, rastrellamenti casa per casa, abitazioni date alle fiamme: sono almeno 150 le persone uccise, tra cui una ventina di civili inclusi donne, anziani e bambini, nei pogrom commessi da miliziani jihadisti filogovernativi, siriani ma anche stranieri, nella regione costiera siriana di Latakia e nell'entroterra centrale di Hama contro località abitate da alawiti, la comunità sciita da decenni identificata col deposto regime incarnato per più di mezzo secolo dalla famiglia Assad.
La triste conta dei morti ricorda i macabri bollettini di sangue che dal marzo di 14 anni fa e per diversi anni hanno affollato le cronache dai teatri della repressione dell'allora regime di Assad contro la rivolta popolare scoppiata nel 2011.
Persino i barili-bomba, a lungo usati dagli elicotteri militari di Assad contro i civili delle zone a maggioranza sunnita, sono stati lanciati da elicotteri guidati da jihadisti sunniti contro località alawite della costa. Come una nemesi da più parti temuta, la violenza si è oggi scatenata in tutta la sua virulenza nelle campagne di Latakia, porto siriano sul Mediterraneo, nella cittadina costiera di Baniyas e nella valle dell'Oronte, a ovest di Hama.
Da queste località sono giunti - e continuano a giungere - filmati scioccanti, la cui autenticità è stata verificata e in cui si vedono decine di corpi di uomini in abiti civili ammassati a terra e crivellati di colpi di arma da fuoco. Alcune donne, a terra, disperate, urlano sui cadaveri dei loro figli, mariti, fratelli. I massacri più cruenti, di cui si hanno finora prove documentarie, si sono registrati a Mukhtariye (Latakia) e a Arze (Hama). Qui una folla inferocita ha accompagnato i jihadisti filogovernativi, all'interno del villaggio lanciando slogan religiosi contro gli alawiti. Sullo sfondo, come hanno mostrato alcuni video, colonne di fumo nero si levavano dalle case del villaggio date alle fiamme.
Le violenze erano scoppiate giovedì dopo un agguato teso da alcuni miliziani alawiti contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Latakia. Da allora è cominciata una vera e propria caccia al "membro del regime", trasformatasi in poche ore in una campagna di uccisioni e violazioni incriminate. Una pioggia di necrologi ha affollato i profili social di abitanti di Baniyas e di altre località della costa. Si annuncia il "martirio" di intere famiglie, composte da un uomo - accusato di esser stato membro del regime - e dai suoi familiari. In almeno quattro casi, il capo famiglia è stato ucciso assieme alla moglie e ai figli. In altri due casi, un giovane alawita è stato ucciso assieme ai genitori e alla sorella.
Alcune vittime appartengono a famiglie alawite note per esser state a lungo oppositrici del regime di Assad. In certi casi, sono stati uccisi alawiti fratelli o padri di altri alawiti morti sotto tortura nelle famigerate carceri del potere, dissoltosi l'8 dicembre scorso dopo 54 anni di sistematiche violenze a sfondo confessionale. Come un'altra inquietante analogia col passato, è rimasto finora in un assordante silenzio l'autoproclamato presidente siriano Ahmad Sharaa (Jolani), che aveva preso il potere proprio al termine di un'offensiva lampo, condotta con la sua coalizione jihadista sostenuta dalla Turchia. Gli autori delle violenze appartengono alle milizie legate a Sharaa.
E mentre SyriaTv, un'emittente nelle ultime settimane diventata il megafono del nuovo governo, ha riferito, citando la Rete siriana per i diritti umani, di "violazioni pericolose che hanno accompagnato le operazioni militari nella costa", il ministero della difesa di Damasco si è limitato a dire che gli obiettivi delle operazioni sono stati raggiunti, invitando i combattenti a non prendere di mira "i civili e le loro proprietà".
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