(di Roberto Iovino)
Un "Falstaff" molto discutibile è
andato in scena ieri sera al Teatro Carlo Felice a Genova. Lo
spettacolo era particolarmente atteso in quanto segnava il
debutto cittadino di un autorevole Falstaff quale è Ambrogio
Maestri. Ma l'artista non è bastato da solo a "salvare" una
produzione deficitaria sul piano musicale e sotto l'aspetto
registico. Sul podio dei complessi stabili del Teatro, Jordi
Bernacer non ha saputo mantenere un corretto equilibrio fra la
buca e il palcoscenico. L'orchestra verdiana qui è generosa e ai
cantanti si richiede non solo di "cantare" correttamente, ma
anche di "recitare", di scandire con precisione la parola che
mai come in quest'opera è funzionale alla drammaturgia teatrale.
Troppi sono stati gli squilibri ritmici e fonici. Se
l'impostazione musicale, insomma, è mancata, la lettura
registica ha lasciato non poche perplessità.
Damiano Michieletto, qui ripreso da Andrea Bernard, si è
ispirato alla scenografia di Paolo Fantin (acquistata dal Carlo
Felice dalla Scala) che ha riprodotto in maniera impeccabile un
salone della Casa Verdi per musicisti di Milano. L'idea,
suggestiva, era quella di far "recitare" "Falstaff" ad alcuni
dei vecchi cantanti ospitati nella Casa di riposo. Per questo
all'inizio prima che l'orchestra attacchi l'opera, si vede il
salone con un po' di persone sedute nelle poltrone e sui divani
e una pianista che accenna vari temi verdiani. L'idea del teatro
nel teatro non è nuova e va realizzata con molta prudenza. Se
Michieletto fosse partito in questo modo e poi avesse spostato
l'azione in un ideale teatro all'interno della casa di riposo,
giocando sull'alternanza fra i due spazi, l'idea sarebbe stata
funzionale. Ma così non è stato, tutta l'azione si è svolta in
quel salone con tutti gli interpreti quasi costantemente in
scena anche quando non previsti da Verdi e Boito. Una gran
confusione che ha reso difficile la comprensione dell'opera.
Tralasciando elementi del libretto volutamente ignorati (il
bicchier di vin caldo che non arriva all'inizio del terzo atto,
prologo alla più straordinaria esaltazione del vino in musica),
la scena finale ha lasciato stupefatti. Del bosco incantato,
della magia, dell'ironia di Verdi e di Boito non è rimasto
nulla: qualche piantina piazzata nel salone come in una recita
scolastica, un rito funebre con tanto di fiori e terra gettati
addosso a Falstaff coricato sul divano. Del cast si segnalano,
accanto a Maestri, davvero autorevole e ironico di suo, Erika
Grimaldi, simpatica Alice, Sara Mingardo (Quickly), Ernesto
Petti (Ford). Completavano il cast Galeano Salas (Fenton),
Blagoj Nakoski (Cajus), Oronzo d'Urso (Bardolfo), Luciano Leoni
(Pistola), Caterina Sala (Nannetta) e Paola Giardina (Meg).
Riproduzione riservata © Copyright ANSA