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Philippe Boxho, 'della morte si può anche sorridere'

Philippe Boxho, 'della morte si può anche sorridere'

In Italia il medico legale che ha stregato un milione di lettori

ROMA, 18 marzo 2025, 13:23

Redazione ANSA

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(di Marzia Apice) PHILIPPE BOXHO, LA PAROLA AI MORTI.
    INDAGINI DI UN MEDICO LEGALE (Ponte alle Grazie, pp.240, 18 euro. Traduzione di Rossella Monaco). "I miei lettori sono bisognosi di verità, e io racconto solo storie vere. Se c'è rispetto per i defunti, della morte, non certo dei morti, si può anche sorridere": non c'è alcun intento macabro, anzi al contrario un profondo desiderio di parlare dell'imprevedibilità della vita nel lavoro letterario di Philippe Boxho, medico legale e criminologo belga, autore del libro "La parola ai morti", edito in Italia da Ponte alle Grazie. Il libro, che insieme ai due lavori successivi (un quarto è in scrittura) ha venduto complessivamente un milione di copie, è diventato un vero e proprio caso editoriale, acquistato da venti editori internazionali. Al centro, il racconto di alcuni casi 'eccezionali', tra omicidi che erano morti naturali, mummificazioni, scheletri in disordine, mummificazioni e finte impiccagioni: tutte storie vere, frutto del lavoro trentennale svolto da Boxho sulle scene del crimine e nella sala autoptica, luoghi in cui il rigore delle indagini, la pazienza e l'attenzione al più piccolo dei dettagli può fare la differenza per "far parlare i morti" e risolvere misteri all'apparenza irrisolvibili. "Ho chiesto spesso ai miei lettori perché amino così tanto i miei libri. Credo sia perché ci sono storie vere, eventi di vista vissuta, magari romanzati, ma con un solido fondo medico-legale. E poi perché le storie sono brevi e non c'è il rischio di dimenticare dettagli importanti. Infine piace molto ai lettori il tono che adotto nella scrittura, cinico ma anche leggero e divertente", ha detto all'ANSA l'autore, in Italia per presentare il suo libro. Leggendo il volume, accanto al linguaggio semplice con cui l'autore divulga le informazioni scientifiche, colpisce proprio l'uso dell'ironia, come chiave per affrontare storie drammatiche e luttuose: una sorta di filtro, per dare equilibrio e non concedere mai nulla al sensazionalismo. Pur a suo agio nei panni dello scrittore, il passaggio dalla sala autoptica alla pagina non è stato però premeditato: "La medicina legale fa parlare i morti ma io non ho mai pensato che il mio lavoro potesse diventare materiale di scrittura. Non avevo l'esigenza di scriverne. L'idea è stata dell'editore che ha ritenuto interessante far uscire il mio lavoro dalle quattro mura della sala autoptica: io ho colto la palla al balzo", ha precisato. Di certo, quello che traspare è la passione per un lavoro affascinante, sconosciuto ai più, e la volontà di raccontarlo per ciò che è, nel bene e nel male, andando cioè contro la narrazione iper-romanzata e zeppa di incongruenze scientifiche che caratterizza le crime series televisive. Forse ha intercettato proprio quei lettori che non amano questi prodotti televisivi? "E' possibile, perché io racconto fatti realmente accaduti e i risultati di rigorose indagini scientifiche. In questo primo libro ci sono le storie più eccezionali, quelle che di cui parlo ai miei studenti e che non accadono spesso. Negli altri libri racconto invece altre storie brevi più comuni, ma non banali, in cui dimostro come possa accadere che un suicidio sia in realtà un omicidio o che una morte naturale magari si riveli accidentale", spiega, "ma non mi occupo solo del presente, mi piace raccontare anche fatti dell'arte e della storia che hanno a che fare con la medicina legale. Per esempio mi interrogo sulla morte di re Alberto I, di Napoleone o di Cristo. E nel quarto libro che sto scrivendo ora parlo della Sindone conservata a Torino: questo per dimostrare che la medicina legale si può applicare anche al passato". Quale tra i casi esplorati in questo libro l'ha colpita di più? "Sicuramente quello di un uomo che ha dovuto spararsi 14 volte per riuscire finalmente a morire. Ecco, io ho voluto raccontarlo perché ho profondo rispetto della sua determinazione a suicidarsi". Lei ha un controllo assoluto delle sue emozioni: ma ci sono stati casi in cui il suo equilibrio ha vacillato? "Le storie che mi sconvolgono sono quelle dei bambini, di loro non scrivo e non lo farò mai. Non voglio rinnovare il dolore nella famiglia né provocare uno shock nei lettori", ha spiegato. E' a suo agio nei panni dello scrittore? "Io non mi sento uno scrittore, piuttosto mi considero un narratore di storie", ha concluso Boxho, che interpreterà se stesso in una crime serie francese, "gli scrittori spesso hanno un messaggio da trasmettere ai lettori, io invece voglio solo raccontare. Mi è stato chiesto di abbandonare questo format e provare a scrivere un romanzo completamente diverso, ma non sono sicuro che ai miei lettori piacerebbe".
   

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