Dici Fiorella Mannoia e pensi all'interprete per eccellenza della musica italiana, ma anche all'impegno sociale e alla lotta per i diritti delle donne. E non poteva che andare in questa direzione anche la sua sesta partecipazione al festival di Sanremo, con il brano Mariposa, che ha scritto insieme al marito Carlo Di Francesco (che firma anche le musiche con Federica Abbate e Mattia Cerri) e a Cheope.
"È la canzone che mi ha riportato all'Ariston. È un manifesto, che sottolinea l'orgoglio di essere donna, ma senza vittimismo. Un inno al femminile che racconta quello che siamo state, che siamo e che saremo", racconta la cantante romana che quest'anno festeggia cifra tonda e ad aprile spegne 70 candeline, "ho gli anni della Rai - scherza -, ma a ritirarmi non ci penso proprio", e il riferimento è all'annuncio dell'addio alle scene dato qualche giorno fa da Claudio Baglioni. Anzi, avendo "dedicato tutta la mia vita alla musica", in programma ci sarà una grande festa live con amici e colleghi "quando e dove, vedremo. Intanto se ripenso a quella ragazzina che iniziava a cantare alla fine degli anni Sessanta, pantaloni di pelle e capelli corti, provo affetto e indulgenza".
Mariposa - ha spiegato Mannoia - ha preso spunto dalla visione della serie tv Il grido delle farfalle, storia delle tre sorelle dominicane Mirabal, attiviste che si battevano contro la dittatura e per questo trucidate il 25 novembre 1960, proclamata poi Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. "Il ritmo del brano è gioioso, un mix di sound latini e pop, ma il contenuto è importante. Si parte della strega in cima al rogo per arrivare alle tante sfaccettature di ciascuna di noi".
L'emozione di salire sul palco dell'Ariston, nonostante l'esperienza, nonostante le tante partecipazioni, spiega che è sempre la stessa. "Un palco stregato, croce e delizia di noi artisti. È l'esame più importante, e hai sempre qualcosa da perdere: ogni volta è un rimettersi in gioco e la responsabilità la senti". L'ultima volta era stato sei anni fa con Che io sia benedetta. "In tanti mi dissero che ero pazza ad andare in gara, nessun cantante affermato in quel periodo lo faceva. Io ho aperto la porta al cambiamento e oggi in tanti partecipano senza problemi", rivendica. Arrivò seconda, dietro a Francesco Gabbani che all'annuncio della vittoria si inginocchiò ai suoi piedi per scusarsi dello "sgarbo". I due si ritroveranno insieme nella serata delle cover, come a chiudere un cerchio.
La responsabilità si sente soprattutto quando porti sul palco messaggi importanti, come quello contro la violenza di genere che fa capolino in Mariposa, con il verso che cita Una nessuna centomila, l'evento e la Fondazione - di cui Mannoia è presidente - per la raccolta di fondi per i centri antiviolenza.
"Il riferimento ai concerti del 4 e 5 maggio a Verona non poteva mancare: è un impegno che ormai fa parte della mia vita". Un impegno che si inserisce in quello che da più parti viene già definito il Sanremo delle donne. "Siamo tante e c'è una buona probabilità, a prescindere da me, che si possa avere un podio declinato al femminile. Anche se non credo che in passato ci siano stati dei pregiudizi nei confronti delle artiste al festival. Ma numericamente eravamo meno, oggi siamo cresciute e si vede".
A 36 anni da Quello che le donne non dicono, presentata proprio al festival nel 1987, Mariposa può essere considerata "una sorta di evoluzione. Dopo tanti anni torno a parlare di donne, in maniera specifica. Lì cantavo 'ti diremo ancora un altro sì', oggi nei miei concerti sostituisco quel sì, con forse. Perché gli uomini devono imparare che un no detto da una donna è un no, in qualsiasi circostanza, in qualsiasi condizione. È un cambio culturale e di mentalità che dobbiamo fare tutti insieme", sottolinea ancora Fiorella Mannoia per la quale "oggi c'è più consapevolezza della nostra emancipazione.
Ma bisogna lavorarci. La libertà è una conquista che si porta avanti giorno per giorno". E difende Elodie e Annalisa, nel mirino dei social, accusate di mostrare di più le loro qualità fisiche che non quelle artistiche. "Sembra di essere tornati indietro. Ci siamo dimenticati di Madonna? O di Beyoncé? All'improvviso siamo tutti bigotti. Loro cantano e bene. Fanno bene a fare quello che fanno, si mostrano come sono e come sentono di essere".
Dito puntato, invece, contro il linguaggio violento di rapper e trapper: "Nessun invito alla censura perché non sarebbe giusto né educativo, ma come ha già fatto Roy Paci, a loro va rivolto un invito alla responsabilità e alla riflessione".
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