Non è costituzionalmente illegittima
la mancata previsione, da parte del testo unico
sull'immigrazione, di una riduzione della pena per chi si limiti
a utilizzare un documento da altri falsificato per ottenere un
documento di soggiorno. Lo ha stabilito la Corte costituzionale
con la sentenza n. 27, depositata oggi, che ha dichiarato non
fondata una questione sollevata da un GIP del Tribunale di
Vicenza. Lo rende noto un comunicato della Consulta.
Il processo principale concerneva un cittadino straniero che
aveva presentato alla Questura un certificato di conoscenza
della lingua italiana poi rivelatosi contraffatto, al fine di
ottenere un permesso di lungo soggiorno per cittadini non
appartenenti all'Unione europea. In sede di giudizio abbreviato,
il Gip aveva deciso di sospendere il processo e di chiedere alla
Consulta se sia legittimo prevedere la pena della reclusione da
uno a sei anni sia per chi materialmente abbia falsificato il
documento, sia per chi si sia limitato a utilizzarlo.
Il Gip aveva in particolare rilevato che il codice penale,
nel disciplinare in via generale i reati di falso, prevede una
riduzione della pena per chi si sia limitato a fare uso di un
documento da altri falsificato. Secondo il Gip, il diverso e più
grave trattamento dell'uso del documento falso da parte
dell'articolo 5, comma 8-bis, del testo unico sull'immigrazione
violerebbe il principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3
della Costituzione, con conseguente pregiudizio alla funzione
rieducativa della pena, stabilita dall'art. 27 della
Costituzione.
La Corte, tuttavia, ha ritenuto infondati i dubbi del Gip.
Anzitutto, la Costituzione non vieta al legislatore di prevedere
un trattamento sanzionatorio più severo, rispetto a quello
stabilito per i comuni reati di falso, per i falsi in materia di
immigrazione, i quali offendono l'interesse statale a una
ordinata gestione dei flussi migratori.
In secondo luogo, la Corte ha osservato che la condotta
consistente nel semplice uso del documento falsificato per
ottenere un documento di soggiorno non deve essere
necessariamente considerata meno grave della condotta di
falsificazione del documento stesso. Chi presenta un documento
falso alla Questura per ottenere un permesso di soggiorno
normalmente ha anche concorso nella sua falsificazione, fornendo
all'autore materiale i propri dati identificativi. Inoltre, è
proprio l'uso del documento a creare l'immediato rischio che
venga rilasciato un documento di soggiorno in assenza dei
requisiti di legge, mentre la falsificazione del documento
costituisce soltanto un'attività preparatoria rispetto a questo
scopo.
La norma in esame, dunque, non viola né il principio di
eguaglianza, né il principio di proporzionalità delle sanzioni
penali, desunto dalla finalità rieducativa della pena.
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