(di Francesco De Filippo)
TOMMASO PIFFER, SANGUE SULLA
RESISTENZA. STORIA DELL'ECCIDIO DI PORZêS (Mondadori; pp.264; 23
euro) Che l'esecutore dell'eccidio di Porzus fosse il partigiano
rosso, il gappista Mario Toffanin detto 'Giacca' si sapeva. Come
si sapevano tanti altri dettagli della strage avvenuta tra
Faedis (Udine) prima e su per le montagne, a malga Porzus, poi,
tra il 7 e il 18 febbraio 1945, con l'uccisione di 18 partigiani
'verdi' della Brigata Osoppo-Friuli. Ciò che invece ha
dimostrato Tommaso Piffer, storico, è il coinvolgimento del
comando della Divisione Garibaldi-Natisone, legata al Pci. Una
mossa che intendeva eliminare ogni ostacolo che si frapponesse
alle mire jugoslave di annettere quell'area italiana di confine.
Per Josip Broz Tito bisognava occupare il possibile della
Venezia Giulia e della Benecia.
Piffer, docente di storia contemporanea all'Università di
Udine e associato del Centro studi sulla guerra fredda di
Harvard, ha raccolto le sue ricerche nel libro "Sangue sulla
resistenza. Storia sull'eccidio di Porzus" (Mondadori), che
mette la parola fine ad ogni equivoco o mezza verità.
I partigiani della Osoppo difendevano l'italianità del confine
orientale, opponendosi al IX Corpus titino che voleva annettere
il Friuli alla nascente Repubblica Federativa Socialista
Jugoslavia.
"L'annessione non avverrà - spiega - perché arriveranno gli
inglesi, occuperanno l'area, costringeranno Tito a lasciare
Trieste nella primavera '45 e con il trattato di pace
assegneranno la Slavia veneta (Benecia: Valli del Natisone, Val
Resia e del torre) all' Italia". L'episodio resta però
importante perché è "uno dei più cruenti della resistenza
italiana, frammentata in vari gruppi", una guerra fratricida. Il
23 febbraio scorso, è stato commemorato l'80/o anniversario
della strage. Nella quale furono trucidati anche il fratello di
Pier Paolo Pasolini, Guido, e Francesco De Gregori, detto Bolla,
zio di
quello che sarebbe diventato il cantautore.
L'azione era stata preceduta da tentativi di diffamazione nei
confronti degli osovani, accusati - ingiustamente - di
complicità con i nazifascisti. Non bastò: "La strage fu decisa
nel novembre, dicembre del 1944 e viene eseguita nel febbraio
'45 dai Gap che erano i nuclei di assalto del Pci legati alla
Garibaldi-Natisone" spiega Piffer. Che parla di una "dolorosa
vicenda" che però "va guardata in faccia per consegnarla
definitivamente alla storia, spesso ostaggio della politica".
Immaginabili, infatti, in questa vicenda, le profonde
implicazioni politiche: la verità avrebbe messo in crisi la
narrazione del Pci come forza politica dagli interessi nazionali
"perché il Pci friulano con avallo del Pci nazionale aveva
deciso di favorire l'annessione di tutta l'area rivendicata dal
Movimento di liberazione sloveno". Insomma, la rivoluzione
socialista comportò una spaccatura nell'antifascismo italiano
con le formazioni garibaldine (Pci) da un lato e quelle osovane
(legate alla Democrazia cristiana) dall'altro.
Una "storia della brutale determinazione di eliminare un
avversario politico. La vita valeva poco e le pressioni
politiche erano forti", dice oggi lo storico.
Nel dopoguerra gli esecutori materiali verranno processati e
condannati a pene molto pesanti. Ma del coinvolgimento della
Garibaldi-Natisone non si era mai andati oltre il sospetto.
Piffer, esaminando documentazione slovena mai vagliata in
precedenza, ha sistemato l'ultimo, chiarificatore, tassello.
Nel saggio si parla di tre grandi fratture che hanno segnato
quegli anni: quella tra fascismo e antifascismo che vedeva le
formazioni osovane, garibaldine e slovene schierate su uno
stesso fronte contro i nazisti e i militanti della Repubblica
sociale italiana; quella tra italiani e sloveni per il controllo
dello stesso territorio e infine quella tra forze comuniste e
forze anticomuniste.
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