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Nella casa di Tiaso a Pompei la sala che brilla di stelle

Nella casa di Tiaso a Pompei la sala che brilla di stelle

Resti di ostriche raccontano di fini tecniche decorative

ROMA, 09 marzo 2025, 14:18

Redazione ANSA

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(di Francesca Chiri) Un ammasso di gusci di ostrica sono accumulati nell'angolo di una stanza della casa del Tiaso, la lussuosa dimora di Pompei in cui sono venute ora alla luce le megalografie di baccanti e satiri che ornavano una sala per banchetti.
    La stanza dista pochi metri dalla meravigliosa sala affrescata dove si tenevano i grandiosi ricevimenti ispirati al culto dionisiaco. Tutto lascia pensare ai resti di un sontuoso pranzo in cui erano state offerte ai convitati portate del celeberrimo frutto di mare. E invece no.
    I resti delle conchiglie erano lì nella loro funzione di materiale edile; d'altra parte tutta quest'area della villa, nel momento in cui era stara sepolta dai detriti dell'eruzione vulcanica, era un cantiere avviato per restaurare la ricca dimora. Dai gusci di queste conchiglie, triturate, i romani ricavavano infatti una finissima polvere, quasi trasparente, di carbonato di calcio, che veniva passato come ultimo strato sugli affreschi delle pareti. Il risultato era strabiliante ed è ancora perfettamente visibile. Questa polvere di carbonato a contatto con una sorgente luminosa iniziava infatti a luccicare. E tutt'ora lo fa, se gli si avvicina ad esempio la luce della torcia di un telefonino.
    Immaginate quindi questa stanza di accesso al tempietto che, nella penombra rischiarata da candelabri, lucerne e bracieri, brillava di puntini luminosi come fosse un cielo stellato.
    L'effetto doveva essere sbalorditivo.
    D'altronde era la stanza di accesso ad un luogo spirituale, anche questo degnamente affrescato da scene delle quattro stagioni e allegorie dell'agricoltura e della pastorizia che spiccano da uno sfondo azzurro, o meglio in blu Egizio. Un altro materiale decorativo sfarzosissimo, ritrovato anche in altri ambienti della villa. Era un materiale costosissimo, tant'è che quando un proprietario chiamava il mastro pittore e gli chiedeva il costo delle operazioni per realizzare gli affreschi, questo lo avvisava che il prezzo avrebbe riguardato solo la manodopera e i colori base; per il blu egizio, ci sarebbe stato un costo a parte da pagare. A Pozzuoli c'era anche una fabbrica dove si produceva il blu egizio, l'unico pigmento preparato chimicamente ai tempi dei Romani. Era a base di rame e veniva cotto a temperature molto elevate all'interno di alcuni pozzi; la polvere che ne veniva estratta dopo la cottura cambiava colore, le particelle di rame surriscaldate diventavano blu.
    "Questo fa capire - raccontano gli archeologi e i restauratori che hanno curato gli scavi - quanto facoltoso fosse il proprietario di questa enorme casa che poteva vantare un quartiere termale, una vera e propria spa privata. Noi adesso stiamo guardando solo la pars privata di una villa che aveva ambienti che si affacciavano su un portico, che a sua volta affacciavano su un enorme giardino che, in larghezza, era grande quanto tutto l'isolato". Dell'enorme villa, restano infatti ancora inesplorati due terzi della proprietà, tra cui l'ingresso, il quartiere dell'atrio e gran parte del giardino colonnato.
   

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