(di Francesca Chiri)
Un ammasso di gusci di ostrica sono
accumulati nell'angolo di una stanza della casa del Tiaso, la
lussuosa dimora di Pompei in cui sono venute ora alla luce le
megalografie di baccanti e satiri che ornavano una sala per
banchetti.
La stanza dista pochi metri dalla meravigliosa sala
affrescata dove si tenevano i grandiosi ricevimenti ispirati al
culto dionisiaco. Tutto lascia pensare ai resti di un sontuoso
pranzo in cui erano state offerte ai convitati portate del
celeberrimo frutto di mare. E invece no.
I resti delle conchiglie erano lì nella loro funzione di
materiale edile; d'altra parte tutta quest'area della villa, nel
momento in cui era stara sepolta dai detriti dell'eruzione
vulcanica, era un cantiere avviato per restaurare la ricca
dimora. Dai gusci di queste conchiglie, triturate, i romani
ricavavano infatti una finissima polvere, quasi trasparente, di
carbonato di calcio, che veniva passato come ultimo strato
sugli affreschi delle pareti.
Il risultato era strabiliante ed è ancora perfettamente
visibile. Questa polvere di carbonato a contatto con una
sorgente luminosa iniziava infatti a luccicare. E tutt'ora lo
fa, se gli si avvicina ad esempio la luce della torcia di un
telefonino.
Immaginate quindi questa stanza di accesso al tempietto che,
nella penombra rischiarata da candelabri, lucerne e bracieri,
brillava di puntini luminosi come fosse un cielo stellato.
L'effetto doveva essere sbalorditivo.
D'altronde era la stanza di accesso ad un luogo spirituale,
anche questo degnamente affrescato da scene delle quattro
stagioni e allegorie dell'agricoltura e della pastorizia che
spiccano da uno sfondo azzurro, o meglio in blu Egizio. Un altro
materiale decorativo sfarzosissimo, ritrovato anche in altri
ambienti della villa. Era un materiale costosissimo, tant'è che
quando un proprietario chiamava il mastro pittore e gli chiedeva
il costo delle operazioni per realizzare gli affreschi, questo
lo avvisava che il prezzo avrebbe riguardato solo la manodopera
e i colori base; per il blu egizio, ci sarebbe stato un costo a
parte da pagare. A Pozzuoli c'era anche una fabbrica dove si
produceva il blu egizio, l'unico pigmento preparato chimicamente
ai tempi dei Romani. Era a base di rame e veniva cotto a
temperature molto elevate all'interno di alcuni pozzi; la
polvere che ne veniva estratta dopo la cottura cambiava colore,
le particelle di rame surriscaldate diventavano blu.
"Questo fa capire - raccontano gli archeologi e i
restauratori che hanno curato gli scavi - quanto facoltoso fosse
il proprietario di questa enorme casa che poteva vantare un
quartiere termale, una vera e propria spa privata. Noi adesso
stiamo guardando solo la pars privata di una villa che aveva
ambienti che si affacciavano su un portico, che a sua volta
affacciavano su un enorme giardino che, in larghezza, era grande
quanto tutto l'isolato". Dell'enorme villa, restano infatti
ancora inesplorati due terzi della proprietà, tra cui
l'ingresso, il quartiere dell'atrio e gran parte del giardino
colonnato.
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