Appena torna il sole i due usciranno a comprare la loro prima residenza in Marocco. C'è Churchill che dipinge in giardino e i fantasmi di Hitchcock che si aggirano nelle stanze usate per le scene de L'uomo che sapeva troppo. C'è profumo di star ovunque, dopo il passaggio, tra gli altri di Joan Collins, Tom Cruise, Nicole Kidman, Salma Hayek, Sharon Stone, Gwyneth Paltrow, Juliette Binoche per citare alcuni degli habitué. I più giovani ricordano in Italia l'influencer Chiara Ferragni immersa nella piscina della Spa o la truffatrice internazionale Anna Sorokin mentre fa colazione in giardino, finita in trappola negli Usa e poi celebrata da Netflix. Un recente ritocco alla struttura consegna alla modernità tecnologica l'hotel, ideato da Henri Prost e Antoine Marchisio per mettere d'accordo l'Art Déco parigina degli Anni '20 e l'architettura arabo-moresca. Un connubio esotico che non ha mai smesso di affascinare persino i più burberi, da Sir Winston Churchill che vi soggiornava ogni inverno e che proprio su uno dei tavoli dell'hotel disegnò i confini politici dell'Africa moderna, ai Rolling Stones, le pietre rotolanti del rock che all'apice della contestazione giovanile, nel 1968, vi si stabilirono in cerca di 'peace and love'. Paul McCartney compose qui con la sua Linda, nel 1973, la canzone "Mamounia". E il 'rifugio sicuro' che sta nel toponimo, da quel momento, sulle note brit-pop diventa anche idea di rinascita. Un nome, un destino, quello dell'hotel, che oggi conta 135 camere, 71 suite e tre riad, ma è nato sulle fondamenta di un piccolo palazzo, dono di nozze del sultano Sidi Mohammed Ben Abdallah al figlio. Era il XVIII secolo e la struttura, una casa di svago, si trovava all'interno di un sontuoso frutteto, Arset el Mamoun, il 'rifugio sicuro' del titolo. La Sncf, società ferroviaria del Marocco, decise di trasformarlo in albergo nel 1923 e dopo i fasti vacanzieri con Roosevelt e De Gaulle tra i clienti fissi, oltre a Charlie Chaplin, Marcello Mastroianni, Claude Lelouch e Francis Ford Coppola, la Mamounia rinacque più volte a partire dagli Anni '50, e, prima ancora, nel '46 quando Jacques Majorelle collaborò al restauro che portò a 100 il numero di camere, poi con un restauro più decisivo, per mano di Jaques Garcia, nel 2009, che conferì all'albergo viste inedite ma spense le mille luci dell'hotel e fece inciampare Mohammed VI la sera dell'inaugurazione. Insignito di numerosi premi e titoli, per la Miglior Spa nel 2010 e nel 2018 nominato Miglior hotel in Medio Oriente e Africa da Condè Nast Traveller, nel 2020 si è rifatto il look sotto la supervisione di Patrick Jouin e Sanjit Manku, duo ambizioso e multiculturale che intreccia produzione industriale e tradizione dell'artigianato.
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