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Responsabilità editoriale di ASviS
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Cos’è una famiglia? Per alcuni è il gruppo sociale in cui si nasce e cresce, le proprie radici che non vanno dimenticate, per altri sono i nuovi affetti incontrati lungo il cammino della vita, con cui condividere responsabilità e aiuto reciproco. Talvolta la famiglia è un rifugio sicuro, altre volte un problema da gestire.
La concezione e forma della famiglia muta a seconda delle diverse epoche e culture. Nel mondo occidentale, accanto alla famiglia coniugale costituita da genitori e figli, oggi troviamo una pluralità di altre forme familiari che rispecchiano i cambiamenti demografici, sociali ed economici in atto. Quale panorama abbiamo di fronte, guardando anche agli ultimi dati Istat, e come può il nostro Paese rispondere adeguatamente alle nuove esigenze?
Una famiglia, tante famiglie. Per restare il più possibile agganciati alla realtà prendo a titolo di esempio la mia, che presenta una gran varietà di modelli familiari, per provare a tracciare un quadro senza pretesa di esaustività.
LE FAMIGLIE “TRADIZIONALI”. Vivo con mio marito e ho due bambine, con una rete di nonni a supporto. Faccio parte, dunque, del nucleo familiare prevalente, ma in realtà in declino: secondo i dati Istat sulla composizione delle famiglie italiane, tra il 2011 e il 2023 le coppie con figli sono calate del 12%. Famiglie definite tradizionali, ma non più così tradizionali: l’emancipazione femminile (con la rivendicazione del diritto della donna alla realizzazione professionale), ma anche i motivi economici (talvolta un reddito non basta più), spingono verso una diversa organizzazione familiare.
La strada per la parità di genere al lavoro e a casa è ancora lunga, mi imbatto in madri che hanno dovuto rinunciare al lavoro per farsi interamente carico di figli e genitori anziani, ma fuori da scuola talvolta incontro più padri che madri a portare o riprendere i figli e sento mogli e mariti interscambiarsi per fare la spesa, la lavatrice e cucinare (fortunatamente, mio marito rientra tra questi). Insomma, qualcosa sta cambiando e la maggiore condivisione di ruoli è sicuramente una delle risposte necessarie su cui continuare a lavorare per questo tipo di famiglie moderne.
LA FAMIGLIA MONOGENITORIALE. Sono cresciuta a casa con mio fratello e solo mia madre, a seguito di un divorzio. In passato era un’eccezione, ma ai giorni nostri il fenomeno è sempre più diffuso: negli anni ’80 le famiglie composte da un solo genitore con uno o più figli minori erano 500mila, oggi sono circa tre milioni, e se negli ultimi dieci anni le coppie con figli sono calate, i genitori soli sono aumentati del 15%. L'identikit dei monogenitori vede in otto casi su dieci madri single, principalmente separate o divorziate (39%), talvolta vedove (27%) e sempre più spesso nubili (16%, con una crescita del 55% nel decennio, in seguito allo scioglimento di una convivenza o alla scelta di avere un figlio pur senza una relazione di coppia stabile).
Le famiglie monogenitoriali sono facilmente esposte a maggiori difficoltà rispetto alle coppie con figli: con un solo reddito aumenta il rischio di imprevisti di natura economica e c’è un maggiore aggravio lavorativo e domestico. Nel 2022, il rischio di povertà o esclusione sociale ha raggiunto il 39,1% dei nuclei monoparentali, contro il 27,2% delle coppie con figli.
Politiche familiari che prevedano aiuti e forme di supporto diventano fondamentali, anche perché, come sottolinea in un articolo su Il Sole 24 oreAlessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano, “il ruolo della politica è quello di non lasciare che le diversità diventino disuguaglianze”, dopotutto “quelle monogenitoriali non sono certo meno famiglia delle altre. È semmai la carenza di politiche adeguate che le lascia più in difficoltà nel sentirsi tali in senso pieno”. Rosina invita pertanto il nostro Paese a mettere le persone nelle condizioni di poter trovare benessere e sviluppo umano a partire dall’infanzia, indipendentemente dalle condizioni di partenza, e a garantire strumenti di conciliazione lavoro-famiglia che diano anche il tempo per curare la relazione con i figli.
Grafico de Il Sole 24 Ore, “Genitori soli in aumento de1 15% in 10 anni”, del 24 febbraio 2025
LA FAMIGLIA ALLARGATA O RICOSTITUITA. C’è chi, dopo un divorzio, va a vivere con un nuovo partner, che può avere a sua volta un precedente matrimonio o una convivenza alle spalle. Le famiglie ricostituite, ovvero quelle che riuniscono insieme un genitore (con eventuali figli) e il suo nuovo partner con i relativi figli provenienti da relazioni precedenti, sono un fenomeno sempre più comune nella società moderna a causa dell’aumento di separazioni e divorzi. C’è anche il caso del genitore, con i propri figli a casa, che ha un figlio da un nuovo partner con cui decide di convivere. Si tratta di famiglie in cui è facile nascano conflitti e incomprensioni, gelosie e problemi di accettazione, anche se possono crearsi anche nuovi legami affettivi. Tra l’ex partner e il nuovo nucleo familiare, tra “figliastri” e “matrigna” o “patrigno”, tra “fratellastri” o “quasi-fratelli” (l’Accademia della Crusca sottolinea la mancanza di parole adeguate in tal senso, c’è chi propone ad esempio “configlio” per indicare il figlio di partner).
Certamente queste situazioni richiedono all’interno della famiglia allargata un forte impegno al dialogo e una chiara definizione di ruoli e regole condivise, che possono differenziarsi da quelli della famiglia di origine. Sarebbe importante, però, che anche il Paese dedicasse più attenzione al problema, supportando ad esempio le famiglie con agevolazioni economiche per ricorrere a psicologi come avvenuto durante il periodo Covid, o dando vita a iniziative come corsi per i genitori, dibattiti su tematiche relative alle dinamiche del gruppo familiare e luoghi di confronto “protetti” tra figli e genitore non di sangue, con il supporto di psicologi, per aiutare le famiglie a porre le basi giuste o gestire una convivenza sana.
LE FAMIGLIE UNIPERSONALI. Sono quelle composte da una sola persona (single). Tra queste rientrano giovani e adulti che lo sono per scelta o meno, ma anche persone anziane (in aumento per via della maggiore longevità della popolazione) che vivono sole a seguito di lutto coniugale o divorzio. Anche fra queste famiglie si annidano possibili disagi, dovuti soprattutto a solitudine e mancanza di assistenza, ma esistono diverse soluzioni (qui un approfondimento sui modelli abitativi).
Il coliving, ad esempio, è una forma di sharing economy che consiste nella condivisione di spazi della casa, come la cucina e il salotto, ma anche nell’uso di piattaforme per la gestione comune del pagamento di bollette. Ad usufruire dei servizi di coliving sono soprattutto giovani studenti o lavoratori, tra i 25 e i 35 anni, che così hanno modo di conoscere altre persone e ridurre le spese economiche, considerato anche che secondo i dati Eurostatnel 2023 il 70,3% dei giovani tra i 25 e i 29 anni viveva ancora con la propria famiglia o beneficiava del reddito familiare (contro il 41,7% dei giovani europei).
Il senior co-housing, invece, è un sistema di appartamenti indipendenti organizzati intorno a una serie di aree comuni che consente agli anziani di aiutarsi reciprocamente e affrontare il senso di solitudine. Un modello abitativo che consente anche di evitare opzioni come andare a convivere con un figlio adulto, ricorrere a badanti (una soluzione non adatta a tutte le tasche), usufruire di una casa di cura lasciando la propria. Più in generale, come illustrato in questo articolo, andrebbero costruite “comunità amiche della longevità”, con ambienti, spazi urbani e servizi idonei a favorire un invecchiamento sano. Tra le soluzioni si potrebbero anche immaginare servizi territoriali centralizzati che possano offrirsi come riferimento per gli anziani: ad oggi, se un anziano volesse chiamare un centralino per trovare soluzioni alle sue molteplici esigenze (invio di spesa o farmaci a casa, ricerca di badanti o infermieri a domicilio, scoperta dei modelli di co-abitazione e così via), chi potrebbe chiamare?
La convivenza intergenerazionale, poi, mette insieme persone di generazioni diverse con benefici da entrambe le parti. Cito ad esempio il caso di mia madre che, vivendo ormai da sola, si è organizzata per la prospettiva della vecchiaia affittando una camera da letto a dei giovani: una soluzione, oltre che vantaggiosa economicamente, in grado di offrire una maggiore tranquillità grazie a una presenza in casa per eventuali emergenze. A Bologna, Codacons e Confabitare propongono agli studenti alloggi gratuiti presso case di anziani in cambio di alcuni piccoli servizi di base. Queste buone pratiche agevolano i giovani rispetto al problema del caro degli affitti (oltre a preservarli dagli affitti in nero) e consentono agli anziani di ricevere assistenza con l’acquisto di medicine, un aiuto in casa o con la spesa, oltre che compagnia.
LE FAMIGLIE DI EMIGRATI. Nella mia famiglia ci sono vari componenti che si sono trasferiti altrove, mio fratello, per esempio, ha trovato lavoro in Canada e avuto due figli lì. “La fuga di cervelli” rimodella le famiglie, sia per chi va che per chi resta. Chi va fuori non può contare generalmente sull’aiuto della famiglia di origine nella quotidianità (ad esempio dei nonni), così ricorre a baby-sitter, ragazze alla pari (che ricevono vitto e alloggio da una famiglia ospitanti in cambio del lavoro di cura con i bambini), o entra a far parte di comunità di emigrati, provenienti da varie parti del mondo, che con il mutuo supporto e affetto diventano un punto di riferimento, andando a ricoprire diversi ruoli tipici delle famiglie. Anche per “chi resta” ci sono dei cambiamenti: genitori che invecchiano con i figli in altre città devono poter contare su una rete di aiuti diversa da quella familiare.
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di Flavia Belladonna
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