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In alcuni casi l’imposizione del predominio maschile è subdolo al punto che in pochi riescono a cogliere i margini per denunciare il messaggio sessista e discriminatorio
Le testimonianze di Stefania, juventina, Wanda laziale, Chiara e Anastacia romaniste, di una scrittrice e una giornalista, Marta Elena Casanova e Rosita Mercatante, che seguono l'universo femminile sugli spalti, il parere critico di Luisa Rizzitelli, presidente di Assist, l'Associazione nazionale atlete, e quello vissuto di Beppe Franzo, storico ultrà della Juventus, il club che vanta il maggior numero di tifosi in Italia e autore a sua volta di testi sulla storia del tifo. Infine, la storia di Nadia Pizzuti, la prima donna a entrare (da cronista dell'ANSA) in uno stadio di calcio in Iran, a Teheran. Era il 22 novembre del 1997
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Le curve degli stadi di calcio sono un ambiente maschilista, magari non sempre in maniera marcata come una volta, ma lo sono. In alcuni casi l’imposizione del predominio maschile è subdolo al punto che in pochi riescono a cogliere i margini per denunciare il messaggio sessista e discriminatorio. Un esempio? Il cosidetto "lanciacori" che mentre esprime tutta la sua virilità a petto nudo sulla balaustra, incita tutti usando a volte la frase «anche voi donne siete capaci di battere le mani». Fatto sta che da Nord a Sud, le assidue frequentatrici degli spalti sono sempre più numerose e non è difficile oggi trovare diverse eccezioni di gruppi in cui le donne hanno assunto posizioni apicali dimostrando di non essere la parte debole del mondo, anche allo stadio.
La presenza femminile negli stadi, aumentata progressivamente dagli anni Novanta a oggi, indurrebbe a pensare che l’interesse delle donne nei confronti del calcio abbia aiutato a tracciare la strada della parità in un ambiente marcatamente maschile e maschilista. Questa si rivela una lettura semplicistica e superficiale non appena si fa ricorso alle fonti storiografiche – poche in quanto il tifo femminile in Italia è stato per diverso tempo ignorato dagli storici dello sport pur trattandosi di un fenomeno sociologico di lunga durata – che riportano di una difficile accettazione della donna come seria appassionata del pallone". Chi parla è Rosita Mercatante, una giornalista e che ha fatto del tifo femminile nel mondo del calcio un suo focus professionale.
Quando nasce la figura della tifosa di calcio? "Il 1974 è un anno importante - spiega Mercatante - su dodici milioni di italiani che avevano assistito almeno a una partita, due milioni erano donne, per lo più giovanissime. Negli anni Ottanta – decennio in cui prende piede in Italia il movimento ultras – il fenomeno del tifo calcistico femminile viene finalmente del tutto accettato sia nelle curve dalle tifoserie maschili sia a livello mediatico da giornali, tv (che inseriscono nel palinsesto non solo trasmissione tecniche ma di intrattenimento buono per tutti i palati) e fanzine che incominciarono a raccontarlo, più o meno con l’attenzione che avrebbe meritato un’indagine seria sulla passione delle italiane per il calcio, sempre più riconosciuto come sport nazionale e quindi anche delle donne. A questo punto la disamina sul fenomeno del tifo calcistico femminile deve necessariamente centrare due aspetti.
Le tifose da stadio in quale contesto hanno cercato di ottenere affermazione e spazio d’espressione in maniera autonoma? E sono riuscite nell’intento? "Il fatto che la donna sia stata chiamata a partecipare, almeno formalmente, alle questioni del pallone da una posizione paritaria - sottolinea Mercatante - non è dipeso esclusivamente da una sua emancipazione o presa di coscienza. Il varco si è aperto grazie alla grande “calcistizzazione” degli anni Ottanta, decennio in cui è avvenuto quel salto di paradigma che ha determinato il modo consumistico (da tifosi a spettatori che alimentano il circuito pubblicitario) e trasversale di concepire il tifo calcistico ma i pregiudizi sessisti nei confronti della donna calcista rimangono ancora forti. Quindi dimostrare di capire la regola del fuorigioco è servito a ben poco, a partire dal fatto che non ha permesso alle donne di guadagnare posizioni e adeguati riconoscimenti nel mondo del lavoro, anche sportivo, che continua a precludere loro i piani alti".
"Quando si parla di tifose da stadio bisogna fare un distinguo - rileva Mercatante .- che tiene conto della classificazione fatta in base al loro posizionamento geografico sulle gradinate. In tribuna vip siede la “donna del calciatore”, nella tribuna popolare ci sono le famiglie al completo e le spettatrici più attempate. Un discorso a parte meritano le “tifose da curva”, quelle che sono entrate a contatto con la piccola comunità omnicomprensiva che si regge sulle poche regole definite dalla mentalità ultras ossia fedeltà al gruppo, passione, lealtà nello scontro fisico, coraggio, astuzia, coerenza, carisma. È entrando a contatto con la zona calda del tifo organizzato che la donna può mettersi in gioco e conquistare un proprio spazio. Come? Deve dimostrare impegno e “militanza” prima di ottenere la giusta considerazione da parte dei “capi”, composta per la maggior parte da uomini. Ecco che se in un primo momento le ultrà hanno iniziato a prendere parte alla vita della curva da una posizione subordinata, impossibilitate a raggiungere posti di comando dal momento che la selezione avviene esclusivamente su basi fisiche in un’organizzazione fortemente androcentrica, a un certo punto facendo proprio lo spirito aggregativo, hanno iniziato ad auto-organizzarsi creando gruppi e club propri. Come dichiarato da una delle First Ladies, nucleo femminile juventino nato nel 1990: "Eravamo solo tifose, avevamo sentito questo bisogno di aggregazione proprio perché era così difficile entrare da sole, da protagoniste, da tifose in questo ambiente prettamente maschile".
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Il calcio rappresenta un fenomeno capace di trascendere i confini dello sport, diventando un riflesso delle dinamiche culturali e sociali di ogni paese. È questa tesi, articolata in tre capitoli, con la quale Anastacia Bacchiocchi, 23 anni, tifosa della Roma e assidua frequentatrice della curva giallorossa, si è laureata alla Sapienza in Mediazione interculturale e linguistica.
La tesi di laurea propone di esplorare il rapporto profondo e complesso tra calcio italiano e calcio brasiliano, con particolare attenzione alla storia della AS Roma, che hanno sviluppato approcci e stili di gioco unici. Il primo capitolo si focalizza sul calcio brasiliano, esaminandolo come metafora della società e della sua evoluzione. In particolare, si indaga il ruolo del “futebol” nella formazione dell’identità nazionale, dalla fusione delle tradizioni popolari allo stile ginga, sinonimo di eleganza e spontaneità. I temi dell’inclusione di giocatori mulatti e neri e il contesto delle favelas vengono esplorati per evidenziare come il calcio sia diventato un potente strumento di emancipazione sociale e riscatto personale. Il secondo capitolo è dedicato al panorama italiano, con un focus sulle dinamiche storiche e culturali che hanno caratterizzato il rapporto con il Brasile. Attraverso l’analisi delle celebri sfide tra le due nazioni e il pensiero di Pier Paolo Pasolini, emerge una visione del calcio come espressione di stili di vita e valori diversi. La distinzione tra calcio prosastico e calcio poetico si intreccia con temi sociali quali il razzismo e le disparità, rivelando come il calcio italiano rappresenti la complessità della nostra società. Il terzo capitolo si concentra su alcune figure chiave che hanno incarnato il legame tra Brasile e Italia, contribuendo a costruire un ponte culturale e sportivo. Attraverso le vicende personali e professionali di Dino da Costa, Paulo Roberto Falcão e Aldair, si evidenzia il loro impatto sul campo e il consolidamento del rapporto tra il Brasile e la città di Roma, con particolare attenzione alla squadra dell’AS Roma. L’obiettivo principale di questo lavoro è analizzare il rapporto tra il calcio brasiliano e la AS Roma, evidenziando come queste due realtà interagiscono e si influenzano all’interno del panorama del calcio italiano.
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I Giochi olimpici del 2024 di Parigi sono stati all'insegna della parità di genere. Anche l'Italia ha partecipato con una rappresentanza femminile del 48% che ha ottenuto 9 su 12 medaglie d'oro. Sul fronte della narrazione mediatica la copertura giornalistica è stata distribuita ugualmente tra sport femminili (51%) e sport maschili (49%). Lo rileva la ricerca sulla copertura mediale, relativa ai principali Tg, dei Giochi olimpici e Paralimpici di Parigi secondo una prospettiva di genere condotta da Osservatorio di Pavia e promossa da Cio e Fondazione Bracco. C'è però ancora molto da fare, evidenza l'Osservatorio, sul fronte di esperte e commentatrici, con gli uomini che sono stati interpellati come commentatori più delle donne (74% vs 26%).
Atleti ed atlete hanno avuto una visibilità quasi paritaria (49% atlete e 51% atleti). Il linguaggio inoltre è stato inclusivo, per il 93% delle notizie che ha usato un linguaggio non sessista, mentre il 96% delle notizie è stata corredata di immagini inclusive. "I Giochi olimpici di Parigi si confermano 'della parità' anche rispetto alla copertura mediale e alla qualità della narrazione nei sette Tg presi in considerazione - ha spiegato Monia Azzalini, Responsabile settore Diversità, Equità e Inclusione, Osservatorio di Pavia -.Tuttavia permane un aspetto problematico, che riguarda il coinvolgimento di voci autorevoli: gli uomini sono stati interpellati molto più delle donne come esperti o commentatori (74% vs. 26%) e come portavoce (67% vs. 33)". Inoltre un altro elemento critico riguarda l'autorialità dei servizi. Nelle Paralimpiadi, che hanno visto una copertura limitata (solo 54 notizie a fronte delle 476 dedicate alle Olimpiadi, appena l'11%), vi è uno sbilanciamento a favore delle giornaliste che hanno firmato i reportage (57% vs. il 43% dei colleghi maschi).
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Beppe Franzo, classe 1964, tifoso bianconero storico e attuale presidente onorario dell’Associazione ‘Quelli di … via Filadelfia’ che cura la memoria del tifo juventino. Ha scritto vari libri sulla storia del calcio, del movimento ultras e di quello juventino nello specifico. Tra i vari si ricordano: ‘L’età d’oro del pallone. Il calcio in Italia dalle origini al 1950’, ‘Riflessioni dalla balconata’, ‘Via Filadelfia 88, una Storia, una Curva’, ‘80 voglia di Curva Filadelfia’ e ‘Indians’.
Indians, in particolare, è la storia di un pezzo di una curva che diventa la storia di un'intera città. In un'epoca in cui Torino era conosciuta al mondo solo per due cose, la Juventus e la Fiat. 'Indians' narra non solo le gesta, ma soprattutto il clima che negli Anni Ottanta si respirava nel capoluogo piemontese, oltre che sulle gradinate della curva Filadelfia, allora covo degli ultras bianconeri. In questo ultimo libro (160 pp, edito da Novantico), Beppe Franzo, racconta la nascita degli 'Indians', di cui è stato tra i fondatori, avvenuta il 12 aprile 1981 e che per sei anni segnarono un'epoca. È un pretesto per narrare, percorrendo l'esperienze di un gruppo di giovani che arrivava da Barriera di Milano, periferia nord della città, la politica di quegli anni, quando coetanei 'rossi' e 'neri' si massacravano di botte per le strade, per poi ritrovarsi fianco a fianco in curva uniti per la fede calcistica. C'è un'intera generazione, in cui alcuni tentavano di fuggire dalla realtà iniettandosi i propri incubi con uno stantuffo di una siringa, altri trovavano la salvezza nelle ideologie e nella fraterna amicizia del gruppo. Ci sono l'eroina, la politica, la periferia, fascisti, autonomi, l'odore acre dei fumogeni e le bandiere che sventolano: un insieme di racconti che passano anche dalla moda, dalle prime radio e dalle discoteche.
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"Nel 1888 nel Regno Unito, patria del calcio, venne organizzato il primo torneo maschile a squadre. Nel 1894 una certa Nettie Honeyball (nome d’arte di Jessie Allen), cassiera di una drogheria, si appassionò a questo sport tanto da diventare non solo tifosa, ma la prima calciatrice al mondo".Comincia con questo aneddoto la presentazione del libro di Marta Elena Casanova (Collana Odoya Library, 256 pagine 16 euro) 'Tifose. Le donne del calcio' con la prefazione di Simonetta Sciandivasci.
"Qualche anno dopo, nel 1933 - racconta la sinossi - un’altra ragazza entrò di diritto nella storia del pallone: Edelmira Calvetó, catalana e innamorata del calcio e del Futbol Club Barcelona, riuscì a convincere Hans Gamper, uno dei fondatori dei blaugrana, a farla entrare in società. Il suo sogno più grande si realizzò, dando così modo ad altre giovani tifose come lei di prender posto in un mondo sino ad allora esclusivamente maschile. Nettie ed Edelmira sono state delle pioniere, ma la storia del calcio al femminile, per tifo, gioco e professione, non è stata e ancora non è facile, anzi: una strada spesso in salita che però non ha mai visto le donne demordere.
"In Italia e nel mondo - continua la casa editrice - il numero delle donne che seguono il calcio è in costante crescita, e la loro competenza quando si parla di formazioni e schemi non è diversa da quella degli uomini che, come loro, non possono fare a meno di guardare ogni partita, sugli spalti o in televisione. Perché il calcio è amore, e a differenza di altri tipi d’amore, non passa mai, qualsiasi cosa accada. Ci sono donne che si divertono, agguerrite e passionali, donne che fondano club di tifose, donne che diventano amiche tra un urlo e l’altro dentro gli stadi. Donne che non possono ancora esprimersi come vorrebbero e donne che sono riuscite a calciarlo quel pallone, donne che hanno fatto del calcio un lavoro, donne che non si abbattono di fronte a critiche e giudizi".
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"Una giornata storica". Il primo album delle figurine al femminile segna un prima e un dopo: nel giorno della presentazione della nuova collezione Panini “Calciatrici 2024-2025”, un inedito cartaceo dedicato alla Serie A donne, il presidente della Figc Gabriele Gravina guarda alla novità come a un grande evento. L'album si compone di 322 figurine da raccogliere in 48 pagine con la copertina che rappresenta le dieci squadre professionistiche con una calciatrice per ogni team. "La Federazione tiene a tutto il movimento e allo sviluppo di quello femminile, lo abbiamo fatto con grandi investimenti e con una progettualità votata al sancire un principio di civiltà nel nostro paese. Ma dobbiamo ringraziare Panini perché il movimento ha bisogno anche di un percorso di riconoscibilità che avviene attraverso progetti così”, ha aggiunto Gravina.
Entusiasta anche la presidente della Divisione della Serie A Femminile, Federica Cappelletti: "Dopo 64 edizioni averne finalmente uno dedicato alle calciatrici è un'emozione grande. Questa è la dimostrazione che il calcio femminile sta crescendo molto e sta diventando sempre più importante". Un fatto "epocale", invece, lo ha definito Gianluigi Buffon, capo delegazione della nazionale italiana. "Le ragazze devono essere orgogliose - ha proseguito il campione del mondo del 2006 -. Con il loro modo di sognare e lottare sono arrivate ad avere anche questa soddisfazione. Per loro è un riconoscimento meritato". Presente anche Alex Bertani, direttore del mercato Italia di Panini che si dice "orgoglioso" di un album "frutto di un grande lavoro di squadra tra tutte le parti coinvolte". Cappelletti e Gravina hanno poi simbolicamente incollato la prima figurina della storia della collezione all’interno dell’album nel quale si trovano anche le pagine dedicate alla Serie B e alla Nazionale, che nel prossimo mese di luglio disputerà la fase finale dell’Europeo in Svizzera. "E lì vorremo fare un torneo da protagonisti", ha giurato il ct dell'Italia femminile, Andrea Soncin.
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"Pensando a quel giorno, mi sono commossa" raccontava Nadia Pizzuti, prima donna al mondo, il 22 novembre del 1997 ad entrare in uno stadio di calcio in Iran. Quasi vent'anni dopo, nel settembre del 2019, Pizzuti commentò per l'ANSA la svolta da parte delle autorità islamiche che annunciavano che le donne, inizialmente solo per le partite internazionali, potevano entrare negli stadi di calcio. Le proteste internazionali seguite alla morte della tifosa Sahar Khodayari avevano avuto il loro peso. Allo Stadio Azadi, a Teheran, Pizzuti si presentò da cronista dell'ANSA a cui l'agenzia aveva chiesto un articolo, più di politica e colore che di cronaca calcistica, sullo spareggio Iran-Australia, valido per i Mondiali 1998.
"Da prassi - raccontò Pizzurri- richiesi l'accredito alla Federcalcio iraniana che mi rispose che non sarebbe stato possibile. Ma non mi persi d'animo e feci la stessa cosa con il ministero della Cultura, che mi diede la stessa risposta, aggiungendo però di presentarmi lo stesso ai cancelli con il fax inviato alle autorità. E così feci. Insieme al collaboratore e traduttore arrivai ai cancelli dello stadio". "Nemishieh". "Ho un permesso del ministero". "Via, via". "Mi faccia vedere il regolamento oppure chiami un suo superiore. Superati diversi sbarramenti, risposto a domande vagamente inquisitorie e frenetiche consultazioni via radio, mi dettero finalmente il via libera, nonostante la mia guida fosse terrorizzata. 'Andiamocene, qui finisce male', ripeteva". "Forse la minaccia, l'indomani, di denunciare il fatto in un articolo - scrisse allora Pizzuti - ha magicamente steso un tappeto rosso sotto i miei piedi, tanto da farmi diventare la prima donna a potere assistere ad una partita di calcio in Iran dai giorni della Rivoluzione".
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